Omelia Badia Fiorentina 24 marzo 2023

Venerdì della quarta settimana di Quaresima: Sap 2,1.12-22   Sal 33   Gv 7,1-2.10.25-30

Le letture che precedono la settimana santa, giorno dopo giorno, mettono in luce una preoccupazione crescente e una certa confusione interpretativa. Chi ascolta Gesù si fa domande, nei discepoli nascono dubbi, aumenta la pressione delle autorità nei suoi confronti.

La comune visione del Messia non combacia con quella proposta da Gesù. Agli occhi della gente, nonostante le opere da lui compiute, un uomo che sembra fuggiasco e combattuto dai capi con sempre maggior forza, non appare certo come il Messia che salva.

I ragionamenti della gente di Gerusalemme assomigliano molto ai nostri. Presumere di sapere è la radice di ogni nostra tragedia personale e sociale.

Ogni vero cambiamento, invece, nasce dal dubbio che forse non sappiamo tutto, o non sappiamo nel modo giusto, e che faremmo bene ad ascoltare, a riflettere e anche a fidarci di più.

Nella prova, che accomuna giusti e malvagi, si rivela chi siamo, quali sono i nostri valori e i nostri riferimenti. Dalla prova emerge se abbiamo scelto e scegliamo di essere figli del diavolo o figli del Dio di Gesù Cristo.

Il diavolo è il padre della menzogna. E la menzogna porta ad invidiare, ad accusare e a fare del male a chi cerca di richiamarci sulla retta via: «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta» (Sap 2,1).

Da queste parole, quello che viene definito giusto appare come colui che sta in mezzo tra Dio e il fratello e che, con la sua vita, svela la vera natura del male.

Questo svelamento, certamente necessario, è però insufficiente, se si rimane in una lettura ristretta e largamente infantile del peccato e non si coglie che il male fa male; che il male è dato dall’incapacità di riconoscere Cristo e di accogliere il suo amore.

Dobbiamo anche stare attenti, perché spesso la parola peccato viene associata al godimento di un piacere proibito, a una tavoletta di troppo di un gustoso cioccolato o a certi modi di vivere la sessualità. Quando, ironicamente o meno, di qualcuno si dice che “vive nel peccato”, generalmente ci si riferisce alla sfera sessuale, non certo, ad esempio, alla ripetuta e pur grave frode fiscale.

L’annuncio della salvezza ci raggiunge attraverso coloro che hanno dato e danno sostanza alle loro parole con la testimonianza del dono della vita. Una vita vissuta nell’accoglienza di Cristo, in attento ascolto dello Spirito e con grande distacco da sé stessi e dalle proprie idee.

Se mancano il costante ascolto dello Spirito e la disponibilità a rivedere le proprie convinzioni e le modalità con le quali le testimoniamo, c’è il rischio di battersi presuntuosamente per la propria autoaffermazione o per l’affermazione del proprio gruppo, della propria opera.

La fede va testimoniata, non ostentata. Il martirio non va cercato, ma accolto quando disposto dal Padre come indispensabile per la testimonianza, come appare anche dal brano del vangelo di oggi.

«Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto» (Gv 7,2). Gesù sale a Gerusalemme “quasi di nascosto”, ma non per rimanere nascosto. Oggi si direbbe che ci va senza ufficialità.

Gesù va al Tempio, luogo pubblico, e «parla liberamente» (Gv 7,26) davanti a tutti. Non è certo sua intenzione passare inosservato.

La tensione è alta. L’agire di Gesù si scontra con la crescente durezza e ostilità dei capi del popolo e anche con gli umori della folla.

Non è «ancora giunta la sua ora» (Gv 7,30). Ma l’incomprensione e l’indifferenza spingono inevitabilmente verso la scelta finale, quando, per amore e fedeltà al Padre e agli uomini, Gesù si consegna nelle mani di quegli che non lo riconoscono, perché sono convinti di conoscere: «costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (Gv 7,27).

Allora come oggi, sembra che non ci interessi il vero volto di Dio, bensì un’idea di Dio ormai consolidata e che, tutto sommato, non mette in discussione. Ma l’idea di un Dio a nostra misura, a misura della tradizione e delle abitudini confortanti, non ha niente a che fare con il Dio di Gesù Cristo che dà vita e salva.

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