Omelia Badia Fiorentina giovedì 1 giugno 2023

 San Giustino Martire – Giovedì ottava settimana per annum: Sir 42,15-26   Sal 32   Mc 10,46-52

Per l’evangelista Marco, gli interventi miracolosi iniziano con un esorcismo nella sinagoga di Cafarnao e cessano con la guarigione del cieco di Gerico – che abbiamo appena ascoltato – prima di entrare nella città santa, presentata dall’evangelista come totalmente ostile a Gesù. Secondo Marco, pertanto, a Gerusalemme Gesù non compie nessun miracolo.

La scena della guarigione del cieco di Gerico ha per protagonisti il cieco, Gesù e la folla ed è completamente diversa dalla guarigione del cieco di Betsàida, narrata da Marco all’inizio del percorso di Gesù verso Gerusalemme.

In quel caso, altri conducono il cieco da Gesù pregandolo di toccarlo, cosa che Gesù fa conducendolo fuori dal villaggio; la guarigione è presentata come più laboriosa, tanto che per due volte Gesù gli impone le mani sugli occhi (Cfr Mc 8,22-26).

Il cieco di Gerico, di cui l’evangelista riporta il nome e perfino quello del padre, Bartimeo figlio di Timeo, non ha bisogno di intermediari – «Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47) – e per la sua guarigione non servono gesti particolari: basta la sua fede.

Il comportamento della folla rappresenta un duro monito per ogni comunità cristiana. Quando Bartimeo sente che sta arrivando Gesù, comincia a gridare per richiamare la sua attenzione, ma «molti lo rimproveravano perché tacesse» (Mc 10,48), divenendo così un ostacolo all’incontro di Bartimeo con Gesù. Poi, però, quando Gesù, sentendo il grido dell’uomo, ordina di chiamarlo, la folla quasi lo pressa: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!» (Mc 10,49).

La nostra sequela di Gesù è genuina quando non ci si sottrae all’ascolto, quando non si cerca di soffocare il grido di disperazione e di dolore delle persone e quando, presentando questo grido al Signore, cerchiamo di rispondere come è nelle nostre possibilità.

Alla domanda di Gesù, «Che cosa vuoi che io faccia per te?», il cieco risponde con chiarezza: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» (Mc 10,51).

La domanda di Bartimeo viene interamente accolta e la sua preghiera completamente esaudita: la risposta del Signore è come una constatazione liberante. Per Bartimeo la fede in Gesù non è solo motivo di guarigione, ma anche di salvezza: «”Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,52).

Più che essere la narrazione di un miracolo, questa guarigione sembra essere una catechesi sulla fede. Con questa narrazione l’evangelista ci rimanda alla nostra responsabilità, sia per chiedere al Signore di aiutarci a ritrovare la capacità di vedere per rimetterci in cammino con maggiore consapevolezza, sia per accompagnare a Gesù coloro che lo cercano e gridano a lui.

Guardarci dentro è una tappa indispensabile del nostro cammino di fede e di salvezza: ci porta a vedere le cose di sempre con uno sguardo radicalmente «nuovo» e a seguire Gesù «lungo la strada» (Mc 10,52).

Ed è lungo la strada che ogni nostro pensiero ed ogni nostra idea sono chiamati a fare i conti con la realtà delle cose, della vita e perfino con la realtà di Dio.

Anche San Giustino, di cui oggi facciamo memoria, coltivava un’idea, quella della visione di Dio. Pensando che questa visione fosse il fine della filosofia, comincia la sua ricerca facendosi illuminare dai maestri del pensiero greco.

La vera chiave, che contribuisce a indirizzare la sua ricerca, Giustino lo trova in una considerazione che gli suggerisce un anziano, come Giustino stesso scrive nel suo “Dialogo con Trifone”: se un filosofo non ha mai visto né udito Dio, come può elaborare da solo un pensiero su di lui?

A questo punto Giustino si rivolge ai profeti, che avevano parlato in nome di Dio e profetizzato la venuta di suo Figlio nel mondo, e così arriva a Gesù Cristo. Si converte al cristianesimo e, dopo un po’ di tempo, apre a Roma una scuola filosofica. Parla agli studiosi pagani del Dio che ha finalmente conosciuto e annuncia Cristo.

Giustino arriva alla visione di Dio attraverso la Sacra Scrittura e la fede, ma non rinnega quanto ha ricevuto dai vari filosofi, che comunque lo hanno aiutato ad avere una visione più completa di quanto Dio ha creato.

Per Giustino il cristianesimo è la manifestazione storica e personale del Logos nella sua totalità. Per questo ritiene che tutto quello che di bello è stato espresso, chiunque lo abbia espresso, è seme del Verbo.

Proprio per la sua fede in Gesù Cristo viene incarcerato e ucciso come ateo e sovversivo nemico dello stato.

L’esperienza di San Giustino ci dice con chiarezza che non dobbiamo mai essere autoreferenziali, affidandosi solo ad alcune suggestioni od esperienze: per una vera formazione e un vero cammino di fede non possiamo rinchiuderci negli schemi e negli ambiti che già conosciamo. E ci dice pure che l’idea di Dio partorita dalla nostra mente non ci porterà mai a conoscere la verità su Dio vivo e vero e su di noi, che può essere conosciuta solo in e attraverso il Figlio Gesù.

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