Solennità della Santissima Trinità anno A: Es 34,4-6.8-9 Dn 3,52-56 2Cor 13,11-13 Gv 3,16-18
Nonostante che il riferimento alla Trinità di Dio accompagni costantemente i gesti e le parole della fede – dal segno di croce al credo alla preghiera – quella della Santissima Trinità può sembrare una festa astratta.
Il catechismo ci ricorda che «il mistero della santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in sé stesso. È quindi la sorgente di tutti gli altri misteri della fede; è la luce che li illumina» (CCC n. 234).
Proprio perché si tratta del mistero stesso di Dio non vediamo con i nostri occhi, non tocchiamo con le nostre mani ed è difficile da comprendere. Dio non è un concetto e non può essere spiegato con una definizione.
Possiamo forse racchiudere l’amore in un concetto, in una definizione? Se vogliamo dire e comprendere qualcosa dell’amore, possiamo solo desiderarlo, scoprirlo, viverlo e raccontarne l’esperienza nella quotidianità della vita.
La Trinità non si spiega, ma si sperimenta e si racconta, perché Dio è amore in sé stesso e amore in azione.
Per questo la liturgia di questa solennità, per intravedere il mistero della vita trinitaria, ci dona alcune parole del terzo capitolo del vangelo di Giovanni, che racconta l’incontro notturno tra Nicodemo e Gesù e il loro dialogo sulla vita nuova che è data a chi rinasce dall’alto, dallo Spirito.
Con la sua parola Gesù conduce piano piano Nicodemo al cuore del mistero della vita di Dio e lo fa usando, per la prima volta nel Vangelo di Giovanni, la parola amore.
Nel Prologo l’evangelista ha già detto tante cose su Dio: è vita, luce, grazia, verità (Cfr. Gv 1,1-18). Ma per parlare dell’essenza e della vita intima di Dio queste parole non bastano e Gesù ricorre al lessico dell’amore. Dio è amore e ama: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).
Come ci ha rivelato Gesù, Dio-Trinità è comunione di Persone: una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra.
Contemplando il mistero di Dio, da cui proveniamo e verso il cui andiamo, questa festa ci dice che vivere la comunione è la nostra vita e la nostra missione, essendo creati a immagine e somiglianza di Dio: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27)
Il nostro essere ad immagine e somiglianza di un Dio che in sé stesso è amore e comunione, ci chiama a comprendere noi stessi come esseri-in-relazione e a vivere i rapporti interpersonali e sociali nella solidarietà, nell’amicizia sociale e nell’amore vicendevole.
Come quella del Dio Trinità – un solo Dio in tre persone – la nostra essenza è comunione, comunicazione e dono. Pertanto, possiamo trovarci ed esprimerci solo nel dono di noi stessi, vivendo gli uni con gli altri e per gli altri.
Chi, per sua scelta, rinuncia a una vita di comunione e si rapporta con gli altri solo in modo strumentale, per realizzare il proprio piacere immediato, per nutrire il proprio narcisismo, sarà sempre una persona sola e produrrà tragedie per gli altri e per sé, come drammaticamente ci testimoniano anche i recenti fatti di cronaca.
Qualsiasi sia la situazione in cui ci troviamo, però, c’è sempre possibilità di cambiare: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,17).
A noi è solo chiesta la disponibilità ad aprirci alla relazione con lui e alla relazione con gli altri.
Contemplare l’insondabile mistero della Trinità di Dio, non solo non ci porta fuori dalla concretezza della realtà, ma ci spinge e ci sostiene a vivere in pienezza quello che siamo, diventando lievito di comunione, di consolazione e di misericordia nelle relazioni e negli avvenimenti di ogni giorno.