Schema omelia domenica 18 giugno 2023

Undicesa domenica Tempo Ordinario anno A: Es 19,2-6   Sal 99   Rm 5,6-11   Mt 9,36-10,8

«Gesù vedendo le folle ne sentì compassione» (Mt 9,36). A differenza di quanto avviene in altre occasioni, Gesù non rivolge l’attenzione a situazioni particolari di bisogno: malattia, morte, possessione demoniaca, fame…

Questa volta l’attenzione di Gesù è rivolta alla condizione generale delle persone: «erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36).

Di fronte alla condizione esistenziale di persone stanche e smarrite, forse per delusione o assenza di motivazione o per mancanza di senso e di punti credibili di riferimento e di qualcosa in cui riconoscersi e di cui sentirsi parte, Gesù non risponde con un’azione miracolosa, come avviene di fronte a uno specifico bisogno.

Prima di tutto si immedesima nella condizione della gente e invita i suoi a pregare il Padre perché «mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38). E poi, senza aspettare i rinforzi che arriveranno per la preghiera, chiama i dodici apostoli e li invia a predicare la vicinanza del Regno.

L’invio dei dodici, ciascuno ricordato per nome dall’evangelista, rappresenta l’inizio di una missione che continua nei secoli.

Dal brano del vangelo emerge chiaramente come il ministero affidato sia, prima di tutto, ministero di compassione, di annuncio della buona notizia del Regno; annuncio di speranza per i cuori affaticati e in ricerca.

Quelli che Gesù invia non sono semplici esecutori, ma collaboratori ai quali affida il suo potere sulle forze del male, su tutto quello che imprigiona, rende triste e amara la vita delle persone.

La missione di Gesù continua in quella degli inviati: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni» (Mt 10,7-8).

«Strada facendo» (Mt 10,7): nella semplicità del cammino di ogni giorno, perché ogni passo ci pone dinanzi domande nuove o ci chiede un nuovo modo di rispondere.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Andare vivendo e donando con il cuore libero, leggero: quel che abbiamo è dono e sono dono le possibilità che ci vengono offerte.

Accogliendo questa verità tutto diventa più semplice per tutti: il nostro donarci non peserà su chi riceve e noi stessi non vivremo misurando quel che abbiamo dato o aspettando il contraccambio o per riempirci della gratitudine.

Essere collaboratori nell’annuncio del vangelo significa saper vedere dove c’è chi è troppo stanco per portare da solo il suo peso. E significa sentirsi corresponsabili della grazia che ci è donata e di quanto la grazia continua a operare nella storia e nell’esistenza delle persone e dei popoli.

Il racconto del libro dell’Esodo e quello del vangelo di Matteo ci parlano di un itinerario che porta tribù e persone eterogenee a diventare un popolo, una comunità cristiana.

C’è una corrispondenza tra ciò che annunciamo e ciò che siamo e viviamo. La forma comunitaria, l’essere in comunione, è tutt’uno con il vangelo, che è annuncio della comunione resa possibile in Dio.

Annunciare che «Il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7), è come dire che sono possibili relazioni nuove, che la comunione è possibile accogliendo e seguendo Gesù Cristo.

Il discepolo non può essere protagonista solitario e neppure tenace difensore di ruoli e spazi all’esterno e dentro la comunità.

Il discepolo deve pure tener presente che non basta che il bene che compie sia umanamente utile ed efficiente. L’annuncio di Cristo e del suo vangelo, da cui tutto parte, non sarà credibile se il contesto e i criteri dell’agire non si differenziano da quelli del mondo e se, di fatto, si fa passare il messaggio che quel che conta è solo rispondere a un bisogno e non “guarire la vita”.

La comunione che in quanto discepoli siamo chiamati a vivere, non si riduce ai buoni rapporti all’interno di una comunità. Quello che ci fa una cosa sola non sono l’affetto e la stima, che pure favoriscono l’unione, ma la comune appartenenza a Cristo e la comune tensione verso il Regno.

È partendo da dodici persone, contraddittore e fortemente diverse tra loro, che Gesù ha costituito la prima comunità ed ha iniziato a far scorrere il fiume di misericordia che è arrivato fino a noi.

Per annunciare il suo vangelo, anche oggi Gesù continua a mandare donne e uomini fragili e incostanti, ma che accolgono la sua chiamata cercando di vivere la comunione fra loro per testimoniare che solo Gesù è il Signore.

I nostri limiti e i limiti degli altri, pertanto, non sono un impedimento alla possibilità di mettersi in gioco per rispondere alla chiamata di Cristo, né alla possibilità di superare l’autoreferenzialità e vivere la comunione.

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