Omelia Badia Fiorentina 29 giugno 2023

Santi Pietro e Paolo: At 12,1-11   Sal 33   2Tm 4,6-8.17-18   Mt 16,13-19

Pietro e Paolo. Due grandi apostoli del Vangelo e due colonne della Chiesa. Da sempre la tradizione cristiana li ricorda insieme.

Pur umanamente differenti l’uno dall’altro e nonostante che nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di vivere quella fraternità resa possibile dall’accoglienza della grazia del vangelo di Cristo. La sequela di Gesù, infatti, consente di valorizzare e armonizzare le differenze e di sperimentare la vera fraternità.

Nel brano del vangelo di Matteo appena ascoltato, a una precisa richiesta di Gesù, «chi dite che io sia?» (Mt 16,15), Pietro subito risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16.15).

Questo riconoscimento dell’identità di Gesù non gli proviene «dalla carne e dal sangue», dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Proprio per questa rivelazione, Gesù gli svela la missione che intende affidargli: essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19).

Subito dopo, però, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce facendosi guidare da carne e sangue e si mette «a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai», suscitando una dura reazione di Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo…» (Cfr Mt 26,22.23).

Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, quando si lascia prendere da carne e sangue si manifesta come un ostacolo, una pietra sulla strada in cui si può inciampare – in greco skandalon.

È evidente la diversità di valutazione e di scelta di vita che esiste tra il lasciarsi plasmare dal dono che proviene dal Signore e il seguire la spinta che proviene dal nostro umano.

Diversità assai palese anche in Paolo, pur essendo la sua vicenda umana e spirituale molto diversa da quella di Pietro.

Paolo di Tarso non ha incontrato Gesù nella sua fisicità lungo le strade della Palestina, ma lo ha incontrato risorto, in modo improvviso e inaspettato dopo anni spesi perseguitando i cristiani.

Il Cristo risorto si è fatto conoscere da Saulo, nella cosiddetta folgorazione sulla via di Damasco, quando viene disarcionato dal suo cavallo e reso cieco.

Questa esperienza trasforma radicalmente la vita di Paolo, costringendolo a un cambio di prospettiva e a incamminarsi verso una vita nuova.

Saulo, divenuto Paolo, che significa piccolo, abbandona le sicurezze che lo hanno guidato e retto fino a quel momento, per mettersi costantemente in gioco spinto da un’unica certezza: ormai, per lui «vivere è Cristo» (Fil 1,21).

Paolo ha vissuto la sua vita terrena spendendosi senza riserve, ma sapendo bene che questa vita non è tutto. Come testimoniano le parole che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, Paolo porta nel cuore la grande speranza cristiana che è la pienezza della comunione con Dio: «Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno» (2 Tm, 418).

Nella cultura in cui viviamo, e anche nel nostro modo di vivere la fede, forse non diamo eccessivo spazio a questa speranza fondamentale: siamo diventati remissivi e non guardiamo più in alto. Ma ogni incontro con Cristo è autentico se accende in noi la speranza e la gioia per il definitivo incontro con lui.

Pietro e Paolo, due vasi di creta che nelle mani di Dio diventano roccia, ci parlano di una Chiesa affidata alle nostre mani, ma condotta da Cristo con fedeltà e tenerezza.

La loro diversa e comune esperienza, ci presenta l’immagine di una Chiesa debole, ma forte della presenza di Dio. Una Chiesa consapevole che il Regno di Dio non cresce accanto o contro il mondo, ma dentro il mondo. Una Chiesa liberata che può offrire al mondo quella liberazione che il mondo da solo non può darsi: liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia, dalla perdita della speranza e dallo smarrimento.

Come per Pietro e Paolo l’incontro con Cristo è stato trasformante, cambiando il loro modo di pensare e la loro vita, così anche per noi un rinnovato incontro con Cristo può farci superare la pigrizia spirituale e culturale che ci mantiene fermi e ci porta a rifugiarci in un ottimismo vuoto e in un sentimentalismo disincarnato.

Per trasformare la nostra vita e quella delle nostre comunità è necessario rimettere al centro Gesù Cristo e la dimensione radicale e sovversiva del vangelo.

Pietro e Paolo intercedano per ciascuno di noi e per la Chiesa intera!

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