Tredicesima domenica Tempo Ordinario anno A: 2 Re 4,8-11.14-16a; Salmo 88; Rom 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
La vita è fatta di cose semplici, come prendere, donare o ricevere un bicchiere d’acqua, e di situazioni più complesse, come le relazioni significative e quelle ordinarie, ma in ogni situazione mettiamo in gioco quello che siamo e quello che vorremmo essere.
Le nostre relazioni sono molteplici e differenti: ci sono quelle più strette, come con i genitori o con i figli, quelle occasionali e quelle più durature. Alcune si dimenticano presto, altre, invece, sono significative e segnano la nostra vita.
Occorre prendere coscienza che è nella concretezza della vita e delle relazioni che esprimiamo chi siamo e dove vogliamo andare e che rischiamo di smarrirci. E, come sappiamo, a volte la vita è croce, come lo sono le relazioni, persino quelle che abbiamo scelto.
Pur essendo spesso difficile valutare il senso e la giustezza delle relazioni che viviamo, è proprio nelle relazioni che si perde o si trova la vita.
Per non smarrirci e perderci, Gesù ci dice che il criterio assoluto non possono essere le persone, neanche quelle della nostra famiglia, e neppure la nostra stessa vita: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,37-39).
A una prima e superficiale lettura, può sembrare che Gesù opponga l’amore per lui a quello che ci lega a coloro da cui abbiamo ricevuto la vita (“padre o madre”) o a coloro ai quali l’abbiamo trasmessa (“figlio o figlia”).
Gesù, però, non dice che non dobbiamo prenderci cura della vita e del benessere dei nostri familiari e che non dobbiamo curare la nostra vita e il nostro benessere: non farlo sarebbe irresponsabile e non rispettoso del dono che ci è stato affidato e anche contrario a quello che Gesù ha insegnato.
Gesù non mette neppure in discussione l’attaccamento e l’affetto nei confronti dei propri familiari, ma ci dice che le relazioni chiuse ai legami di sangue possono anche condurre su strade errate e, alla fine, contraddire perfino il senso della relazione e dell’amore.
Solo avendo valori, criteri e priorità di un certo spessore si evita di costruire le relazioni in modo improprio e pericoloso per noi, per le persone a cui vogliamo bene e per l’intera comunità.
In questo nostro tempo, ad esempio, il mito della prestanza fisica e della giovinezza, rischia di diventare il criterio di riferimento e di rappresentare un vero e proprio impedimento alla crescita della nostra maturità e a quella delle nuove generazioni.
L’adolescenza è una fase della vita bella e difficile; una fase identitaria fluida, dove sembra di trovarsi in mezzo a un guado, tra il non più e il non ancora. Chi sta vivendo questa fase ha bisogno di avere intorno figure forti, con valori chiari, anche per scontrarsi. Non basta avere intorno persone che ci vogliono bene ma, indipendentemente dall’età e dal ruolo, non hanno ancora avuto il coraggio di crescere guardando in faccia la realtà.
In queste situazioni, ad esempio, per un genitore è facile interpretare come amore il porsi con la figlia o il figlio sul piano dell’amicizia paritaria, ma così facendo sterilizza quello che dovrebbe essere per lei o per lui.
Se il bisogno di pensiero, di punti di riferimento, priorità e criteri chiari e di valore è una necessità per maturare e per la positività delle relazioni, tanto più questo bisogno si fa sentire per il discepolo di Cristo, che è chiamato a vivere la relazionalità umana in pienezza e orientata verso la comunione con lui.
Se crediamo davvero in Gesù Cristo, sappiamo e sentiamo dentro di noi che è lui la fonte di ogni bene e il criterio di ogni amore e che, per il bene nostro e degli altri, le scelte che facciamo devono trovare in lui il loro fondamento e il loro fine.
Un amore terreno fondato e mosso dalla fede e dall’amore per Cristo, è un amore che guarda sempre al bene, qualunque sia la croce che questa vita ci chiede di portare. In Cristo, quando ci sembra di perdere in realtà troviamo.
Il senso e la pienezza della nostra vita sono dati dal modo in cui decliniamo nella nostra concreta e specifica situazione i verbi usati da Gesù nel vangelo di oggi: amare, seguire, trovare e perdere, accogliere, donare e ricevere.
Per verificare se e come viviamo questi verbi nella concretezza della nostra vita avendo come riferimento Cristo, ogni tanto può essere utile cambiare prospettiva e godere per ciò che riceviamo: di chi accoglie noi in nome di Cristo e di chi ci ascolta come testimoni della sua parola, nonostante tutti i nostri limiti.