Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria: Ap 11,19; 12,1-6.10 Sal 44 1Cor 15,20-26 Lc 1,39-56
Ogni verità di fede proclamata dalla chiesa ha una concreta ripercussione nella vita quotidiana di ciascuno di noi, giacché aiuta a delineare meglio i contenuti del credo professato e a focalizzare ciò che ci attende al termine del nostro cammino terreno.
La festa dell’Assunzione di Maria ci parla di morte e di vita e ci prospetta una salvezza che coinvolge tutta la nostra persona, compreso il nostro corpo, senza il quale nessuno potrebbe essere quello che è.
La concretezza del nostro corpo ci segna nella nostra unicità. Ogni relazione è possibile solo perché siamo anche corpo. Nessun atto d’amore, compreso quello più intimo e segreto, sarebbe possibile senza il corpo.
Siamo chiamati ad accogliere integralmente la nostra umanità e a condurla a realizzazione seguendo ciascuno la propria strada, la propria vocazione. Come diceva un antico insegnamento rabbinico, «alla fine non mi verrà chiesto perché non sono stato Mosè, ma perché non sono stato io».
L’Assunzione di Maria ci spinge a considerare la nostra vita, valutando lo scopo e il fine, per viverla pienamente nella nostra quotidianità e con tutto quello che siamo, senza smarrire ciò che è essenziale, ciò che le dà senso e compiutezza.
Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta l’incontro tra Maria ed Elisabetta, due donne che attendono entrambe un bambino: all’inizio parla Elisabetta, che annuncia a Maria l’adempimento di quanto detto dall’angelo.
Con il suo Sì a Dio, Maria mostra di essere una donna ebrea credente che vive nella certezza dell’adempimento delle promesse dell’Altissimo. Non avrebbe potuto dire nessun Sì e non sarebbe sgorgato da lei nessun cantico di lode pieno di speranza, se non fosse stata educata a scorgere le opere meravigliose di Dio.
Il clima culturale nel quale viviamo – di vera fede o di semplice abitudine; di solidarietà o di individualismo e indifferenza; di scettiscismo o di speranza – influisce inevitabilmente sulla concretezza delle nostre vite, sui nostri pensieri e sulle nostre scelte.
Il cantico di Maria, il Magnificat, proclama con gioia le grandi opere di Dio, che estende la sua misericordia di generazione in generazione: anche sulla nostra generazione, provata da tanti problemi spirituali e materiali, personali e sociali.
Come preghiamo nel prefazio della Messa, per il popolo pellegrino sulla terra Maria è «Segno di sicura speranza».
La speranza cristiana non è un auspicio, un augurio e neppure semplice ottimismo. Non è neanche un atteggiamento illusorio o autoconsolatorio per sopportare i dolori e i drammi della vita, per difendersi dai fallimenti e per esorcizzare la morte.
La speranza cristiana ha un nome e un volto: si chiama Gesù, che nacque da Maria Vergine…patì sotto Ponzio Pilato…è risorto il terzo giorno.
La realtà di questi avvenimenti, frutto della fedeltà di Dio alle sue promesse, anche nella nostra epoca fortemente travagliata, ci permette di guardare al futuro non con un ottimismo disincarnato, ma con la fiducia nel Dio fedele.
La speranza, così come la fede e così come la carità, quando è radicata in noi divengono stile di vita e, anche nelle situazioni più critiche, ci spinge ad essere fiduciosi costruttori di futuro.
La festa dell’Assunta in qualche modo si fa provocazione: ci chiama a uscire da noi stessi, ci invita a verificare qual è la nostra vera speranza e a renderne ragione di fronte al mondo.
Rendere ragione della speranza che è in noi, come ci insegna san Pietro, non significa esporre una teoria, ma significa dire il nostro Si a Dio, come ha fatto Maria. Non un sì che rimane chiuso nel nostro intimo, ma che si fa carne e storia.
Maria, che oggi veneriamo come Assunta al cielo, ci accompagni nel cammino al quale siamo chiamati per essere sempre più autentici discepoli del Signore Gesù, vero Dio e vero Uomo.