Omelia Badia Fiorentina 20 settembre 2023

Mercoledì della XXIV settimana tempo ordinario – Dispari: 1Tm 3,14-16   Sal 110   Lc 7,31-35

Memoria Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni

Il nostro cammino terreno è segnato da gioie e sofferenze, feste e lutti. Ci sono momenti in cui prevale il suono del flauto e momenti in cui prevale il lamento, per usare i termini del vangelo di oggi (Lc 7,32), ma entrambi ci sono compagni.

Il rischio è quello di abituarsi a quanto avviene attorno a noi e, come quei bambini di cui parla il vangelo, rimanere indifferenti a ogni sollecitazione, senza lasciarsi coinvolgere in niente.

Spesso, per evitare ogni tipo di coinvolgimento, quando qualcuno suona a festa si risponde che non c’è niente da festeggiare, perché i problemi ci sovrastano, e quando c’è chi alza un lamento, subito si risponde che non si può essere disfattisti.

Un atteggiamento di marcato distacco e di cronica indifferenza è deleterio per noi e per la collettività. Come sono dannosi il tentativo di abbellire la realtà cercando di nascondere i problemi sotto il tappeto, pensando così di proteggersi e proteggere, e l’atteggiamento perennemente critico.

Ci sono persone per cui c’è sempre qualcosa che non va: con la moglie o col marito o coi figli o con i genitori. Ci sono preti e religiosi che hanno sempre di criticare il vescovo o i superiori. E ci sono vescovi e superiori perennemente insoddisfatti dei loro preti o dei loro confratelli o consorelle.

Quando troviamo da criticare sempre, come i farisei nei confronti di Gesù, perché «mangia e beve» (Lc 7,34), e del Battista, perché severo e ascetico, significa che non vogliamo interrogarci e metterci in gioco.

I modi migliori per rimanere ai margini sono proprio quelli di assumere un atteggiamento indifferente o costantemente polemico

Atteggiamenti come questi, però, ci rendono sordi ad ogni sollecitazione e ci impediscono di distinguere quello che davvero è importante nella vita. Anche nella vita di fede.

La differenza non è data solo dalle opportunità che abbiamo, ma soprattutto dalla capacità di prendere decisioni.

Chi non ha assunto né vuole assumere decisioni importanti, chi non vuole mettersi in discussione e coinvolgersi in prima persona, cerca di comportarsi da spettatore e trova sempre il modo di dare la colpa a qualcuno di come vanno le cose.

«Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli» (Lc 7,35). I figli della sapienza sono persone che si sentono responsabili, non perdono tempo nelle polemiche, impiegano le loro energie nel leggere la realtà, nel valutarla e nel cercare di cambiarla, iniziando da sé stessi.

L’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, cerca insistentemente di coinvolgerci nel cammino verso il regno, e ci invita sempre a guardare avanti, perché costantemente ci sorpassa.

L’annuncio di Cristo e del suo vangelo ha bisogno di noi, ma non aspetta noi. Ha bisogno dei sacramenti, ma non aspetta che ci siano ministri per i sacramenti, come testimonia il fatto che alla radice della Chiesa in terra coreana non ci sono ministri ordinati.

La Chiesa coreana ha la caratteristica, forse unica, di essere stata fondata e sostenuta da laici. Come sappiamo, nel 1784, un grande pensatore, Lee Byeok, ispirandosi al libro “La vera dottrina di Dio”, del famoso gesuita Matteo Ricci, fondò una prima comunità cristiana molto attiva. Solo in seguito uno di loro si fece battezzare andando in Cina. E solo successivamente fu inviato un prete in Corea dal vescovo di Pechino.

Le persecuzioni che si scatenarono a ondate successive dal 1839 al 1867, colpirono a morte 103 membri della giovane comunità, di cui oggi facciamo memoria, fra cui Andrea Kim Taegŏn, il primo presbitero coreano, e l’apostolo laico Paolo Chŏng Hasang.

L’esperienza della chiesa coreana dimostra come nella vita, e non solo nella vita cristiana, sia sempre essenziale prestare ascolto sia al flauto che al lamento. Il nostro discernimento e l’azione dello Spirito poi faranno il resto.

 

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