XXXI domenica tempo ordinario anno A: Ml 1,14- 2,2.8-10 Sal 130 1Ts 2,7-9.13 Mt 23,1-12
Quella che Gesù segnala nel brano del vangelo di oggi, parlando ai suoi discepoli degli scribi e i farisei, è una tentazione antica e costantemente in agguato per ciascuno di noi: separare quel che diciamo da quello che viviamo; mettere in scena noi stessi, cercando sempre e comunque visibilità e riconoscimenti.
Gli scribi e i farisei sono presentati come quelli che dicono ma non fanno: chiedono agli altri di cambiare, ma per sé stessi non sentono necessario alcun cambiamento. Vogliono essere visti; pretendono che i loro comportamenti non passino inosservati.
«Niente di nuovo sotto il sole», direbbe Qoelet (1,9). Come gli scribi e i farisei, anche noi, nel nostro essere narcisisti e seduttori, ci arrabbiamo quando si distoglie l’attenzione da noi, quando non riusciamo ad avere sempre il primo posto in ogni ambito, dalla famiglia alla società, dal luogo di lavoro a quello del divertimento, fino a quello religioso.
Per comprendere bene quello che dice Gesù ai suoi discepoli è necessario che ciascuno di noi faccia i conti con questo tratto del proprio carattere.
Il primo rischio da evitare, sul piano della fede, è quello di giustificare i nostri atteggiamenti nascondendoci dietro l’incoerenza di chi annuncia il vangelo. «Praticate e osservate ciò che vi dicono» (Mt 23,3): questa parola di Gesù risuona anche per noi, perché Dio è più grande dei difetti di chi lo annuncia e interpella la responsabilità di ciascuno nell’accogliere la sua parola.
Gesù si rivolge ai suoi discepoli, e anche a noi, ricordando che chi insegna agli altri, chi si prende cura dei figli, chi indica la strada da percorrere, è maggiormente esposto alla tentazione di mettersi al centro dell’attenzione e nella ricerca del consenso.
Il rischio che correvano scribi e farisei era quello di porsi come riferimento ultimo, in modo che tutti guardassero a loro. Il rischio del popolo, invece, era quello di pensare che facendo quello che facevano scribi e farisei si potesse giungere alla salvezza.
Pur cambiando le modalità, strettamente legate al tempo e alla cultura, le dinamiche sono sempre le stesse: gli scribi e i farisei che vengono descritti da Gesù somigliano molto ai seduttori e ai narcisisti di oggi, in ambito politico, sociale e anche religioso.
Chiunque, a qualsiasi livello, ricopre un ruolo nella società come nella Chiesa, può essere, al tempo stesso, vittima e carnefice, seduttore e sedotto. Nella lotta, anche inconscia, per la visibilità, l’altro può diventare – come noi per l’altro – un potenziale concorrente, un nemico da sconfiggere o uno strumento da utilizzare come un piedistallo.
Gli infuencer, ad esempio, come scrive il filosofo sudcoreano Byung-chul Han: «sono adorati come modelli esemplari,…nella veste di guide motivazionali si atteggiano a salvatori. I follower partecipano alla loro vita come discepoli, comprando i prodotti che gli influencer ingiungono di comprare nella messa in scena della loro quotidianità. Così i follower prendono parte a una eucaristia digitale. I social media assomigliano a una chiesa: il like è il loro amen; lo sharing – la condivisione – è la comunione. Il consumo è la salvezza» (Infocrazia, Einaudi 2023, p 11).
Gesù per spingerci a guardare con verità a noi stessi e alle nostre intenzioni ci mette in guardia: «Ma voi» (Mt 23,8). Dobbiamo vigilare su noi stessi: essere maestri, guide, padri o madri è un impegno serio da compiere senza secondi fini, non un pretesto per il nostro compiacimento.
«Uno solo è il vostro Maestro» (Mt 23,8): se chiamati a insegnare agli altri, non dobbiamo mai dimenticare che rimaniamo sempre discepoli, per promuovere, rispettare, istruire e formare coloro che ci vengono affidati.
«Uno solo è il Padre vostro» (Mt 23,9): se abbiamo figli generati nella carne o nella fede, oppure accolti nell’amore, dobbiamo fare riferimento a una paternità più grande, per adottare il giusto stile e il corretto modo di pensare.
«Uno solo è la vostra guida» (Mt 23,10): se siamo chiamati a indicare le vie, ad aiutare nelle scelte, dobbiamo conoscere le strade o almeno saper leggere le cartine e conoscere i punti di riferimento; dobbiamo guardare a Cristo per condurre a lui, senza pensare di possedere la verità o, peggio ancora, le persone che a noi si affidano.
Più che essere qualcuno da ammirare, il discepolo è chiamato ad essere segno che rimanda a Cristo, il solo maestro e la sola guida; il solo a rivelarci il volto del Padre e, come fonte della nostra figliolanza, a consentirci di vivere come fratelli e sorelle.