Omelia Badia Fiorentina Mercoledì 8 novembre 2023

Mercoledì della XXXI settimana tempo ordinario – anno dispari: Rm 13,8-10   Sal 111   Lc 14,25-33

La riflessione dell’apostolo Paolo, nelle poche righe che la liturgia propone alla nostra meditazione, presenta la radice di quella libertà interiore a cui tutti aspiriamo, ma che, forse, solo sporadicamente ci capita di assaporare.

Tutti siamo ancora schiavi della paura di deludere o della preoccupazione di dover incantare lo sguardo che gli altri possono avere su di noi.

Il modo con cui Paolo declina le conseguenze dell’essere in Cristo sul terreno delle relazioni interpersonali illumina le nostre menti e accende una speranza nei nostri cuori, spesso affaticati e appesantiti: «Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8).

Sapere e sentire di non aver nessun debito da estinguere se non quello dell’amore vicendevole è liberante e apre alla costruzione di relazioni nuove.

Nonostante che la vita in Cristo intercetti il livello più profondo del nostro desiderio – non sentirci né in obbligo né in colpa verso nessuno – facciamo fatica a far nostra questa prospettiva, soprattutto quando il volto dell’altro diventa sospettoso o pretenzioso nei nostri confronti oppure quando siamo troppo esigenti e duri con noi stessi.

Eppure Paolo, fariseo conquistato dall’amore di Cristo, sembra non aver alcun dubbio sul fatto che «qualsiasi comandamento» di Dio sia condensato in un unico e infuocato comando: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Rm 13,9).

L’amore per sé stessi e l’amore per il prossimo è la ragione di ogni legge, di ogni autorità, di ogni servizio, laico e credente, civile e religioso.

«La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm 13,10). Quest’affermazione, che conclude il brano ascoltato, esprime la concretezza della dinamica dell’amore, che non è puro e astratto sentimentalismo: l’amore del prossimo ci chiama a fare il bene e a non fare il male. E la legge è una strada verso l’amore e nell’amore trova la sua pienezza.

Le parole di Gesù nel vangelo ci aiutano a capire come si possa custodire al centro delle nostre preoccupazioni – Battiato direbbe nel nostro ”centro di gravità permanente” – questo solido criterio dell’amore verso gli altri e verso noi stessi: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).

Gesù non propone una libertà interiore tale da trascurare la cura di quelle relazioni che hanno generato e sostengono la nostra vita. Gesù non dimentica affatto che l’onore per il padre e la madre è una parola cardine del Decalogo a cui è persino legata una promessa di stabilità e di felicità da parte di Dio (cf. Es 20,12; Dt 5,16).

Non dobbiamo, quindi, intendere le parole di Gesù come una competizione sentimentale o emotiva tra lui e la costellazione dei nostri affetti, giacché il punto focale del suo ragionamento è costituito dal verbo amare.

Gesù non chiede una diminuzione dell’amore nei confronti delle persone care, ma quella purificazione e quel potenziamento che nasce dall’amore e dalla fedeltà a lui e al Padre, che va amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente (cfr Lc 10,27).

Le parole conclusive dell’insegnamento di Gesù lasciano intendere che il nodo da sciogliere, in realtà, non sia nemmeno il bene che nutriamo verso gli altri, ma la logica del possesso che spesso avvelena le nostre relazioni più care, impedendoci di rimanere liberi e aperti alla gratuità dell’amore: «Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33).

Con l’immagine della torre da costruire e della guerra da affrontare, Gesù ci dice che la libertà interiore per poter ordinare il nucleo intimo dei nostri affetti, verso Dio, verso gli altri e anche verso noi stessi, non può essere frutto di improvvisazione, del solo fattore emotivo.

Solo in un cuore provato e vagliato con rigore può maturare il necessario distacco da quello che sembra necessario, ma che, invece, è solo importante, e la libera adesione a colui che è “tutta la nostra ricchezza a sufficienza”, come diceva San Francesco.

Sedersi «a calcolare la spesa» (14,28) ed «esaminare» (14,31) con attenzione quello che stiamo scegliendo di mettere al centro del nostro cuore è il segno della misura, della maturità e della concretezza della nostra fede. E il fondamento del nostro amore.

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