Schema Omelia Domenica 26 novembre 2023

XXXIV domenica tempo orinario – Festa di Cristo Re dell’Universo anno A: Ez 34,11-12.15-17   Sal 22   1Cor 15,20-26.28   Mt 25,31-46

La storia, anche quella personale, spesso ci appare indecifrabile, perché cogliamo solo prospettive parziali. Viviamo esperienze soggettive, spezzettate in tanti frammenti, e sentiamo la necessità di ricomporre la nostra vita, per darle un significato e una direzione.

Sentiamo il bisogno di uno sguardo “totale”, integrale, su ciò che siamo e siamo stati. Uno sguardo che tenga insieme intenzioni e azioni, sentimenti e pensieri, capacità e limiti. Ma sentiamo pure il bisogno di separare, di analizzare, di spiegare il senso delle singole cose per capirne la portata nella nostra vita e in quella degli altri.

La solennità di Cristo Re dell’universo, che conclude il cammino dell’anno liturgico, ci ricorda che l’esistenza ha un fondamento, un senso, una meta, una logica che l’attraversa orientandola verso il suo compimento in Cristo, Signore della vita e della storia.

Proprio Gesù, nel brano del vangelo che oggi ci viene proposto, illumina gli angoli più nascosti della nostra vita, dando valore al più piccolo gesto e alla più piccola azione fatti alla più piccola delle nostre sorelle e al più piccolo dei nostri fratelli.

Gesù ci dice che niente va perduto. Anche quando, umanamente, sembra sia il male a prevalere, fare il bene ha sempre valore. Donare non è mai uno spreco; consumarsi per amore non è mai inutile; mettere cuore in quel che facciamo è sempre salvezza.

Pensare di rendere gloria a Dio e di amarlo senza tradurre questa gloria e questo amore in carità fattiva è pura illusione. Per rendere gloria a Dio e amarlo, anzitutto è necessario cambiare il modo di pensare: «lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rom 12,2).

Con il racconto che abbiamo appena ascoltato, Gesù non intende certamente incutere terrore o rinnegare la misericordia del Padre annunciata in tutto il vangelo.

Come con le parabole delle dieci vergini e dei talenti, Gesù ci indica – con immagini forti, perché il pericolo di sprecare la vita è molto serio – ciò che realmente conta, quello che dà valore e prospettiva al nostro essere nel mondo.

Gli anni della nostra vita sono un bene prezioso, sono un tesoro che va investito secondo la logica del Regno. Gesù vuole aprirci gli occhi e farci riflettere, svelando la logica del Regno, che siamo chiamati a vivere nell’oggi della nostra vita.

La scena che Gesù ci presenta, più che un vero giudizio, è una rivelazione: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre» (Mt 25,31).

Al termine del cammino sarà manifestata la verità dei nostri incontri e del nostro agire. Il Signore rivelerà a ciascuno quello che con il proprio operato ha deciso di essere. Le scelte che abbiamo compiuto hanno già detto chi siamo: se abbiamo vissuto aperti e solidali con gli altri oppure ripiegati su noi stessi, senza attenzioni e gesti nei confronti dei fratelli e delle sorelle incontrate sul nostro cammino.

Tutti sanno quello che hanno fatto e quello che non hanno fatto. Ma nessuno, secondo il racconto, sa che quello a cui hanno rivolto o negato la loro attenzione era il Signore Gesù, perché tutti con stupore esclamano: «Signore, quando ti abbiamo visto…?»  (Mt 25,37-44).

Il racconto ci dice quello che, per la logica stessa della narrazione, non dovremmo sapere, per amare il prossimo per sé stesso. È nella gratuità delle relazioni che si diffonde la logica del Regno.

Dovremmo amare il prossimo, non per avere una ricompensa, non per assolvere un obbligo religioso, non per timore dell’inferno, ma per il dono di amore che abbiamo ricevuto per primi.

La rivelazione che ogni gesto d’amore fatto o rifiutato a una qualsiasi persona è fatto o rifiutato a Cristo, fa emergere una realtà significativa: in ogni situazione di bisogno, di emarginazione e di sofferenza, dove sembra che il Signore sia assente – e ci domandiamo dov’è Dio? – non solo lui è presente, ma si identifica con chi si trova nel dolore.

La fede è anche stupore. Nella fede gli occhi si aprono e sanno riconoscere il Signore esattamente in quella situazione, in quell’evento, in quella persona, dove non avremmo mai pensato di poterlo incontrare.

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