Natale di Nostro Signore Gesù Cristo 2023 – Omelia della Notte

Natale di Nostro Signore Gesù Cristo – Santa Messa nella notte: Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

Il Natale richiama certamente amore, tenerezza, fratellanza. Ma prima di tutto e a fondamento di tutto, contemplando il Bambino che nasce, ricordiamo che nella concretezza di questo bambino «é apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

La celebrazione del Natale, infatti, ci conduce all’essenza della fede cristiana: ci porta a contemplare il Verbo che si fece «carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) e che continua a camminare con noi.

Tutto è per noi e per la nostra salvezza, come in modo insistente richiamano le letture di questa notte: «un bambino è nato per noi» (Is 9, 5), ci dice la prima lettura, mentre la seconda ci ricorda che «Egli ha dato sé stesso per noi» (Tt 2, 14). E il vangelo, narrando l’annuncio dell’angelo ai pastori afferma che «oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2, 11).

Celebrare il Natale di Gesù Cristo, quindi, ci porta anche a parlare di noi e fa emergere quello che pare un grande paradosso.

Dio si è fatto uomo. Noi, invece, sembriamo impegnati a far di tutto per prendere le distanze dalla nostra umanità. Facciamo di tutto per nascondere e dimenticare il nostro essere umani dietro un qualsiasi paravento. Sembriamo perennemente impegnati a interrogare lo specchio magico per sapere se si vede che siamo qualcosa di più, se siamo qualcuno che si distanzia dalla puzza di umanità che emana dagli altri.

Ma arrivano puntuali i segni della nostra precarietà, come la malattia, la vecchiaia e la morte, a strapparci ogni maschera e a ricordarci che, nonostante i nostri sforzi, siamo e restiamo umani.

E torna puntuale la celebrazione del Natale a dirci che questa nostra umanità è così preziosa che Dio stesso l’ha fatta propria, non disdegnando di assumerne anche la puzza.

Contemplando il Bambino Gesù, non possiamo non accettare quello che siamo e aprire il cuore alla speranza, sapendo che la speranza cristiana ed ha il nome e il volto di Gesù Cristo.

Più abbiamo bisogno di ascoltare l’annuncio del Natale, senza cercare di annacquarne la portata, più si moltiplicano i tentativi per oscurarne la memoria nello spazio pubblico, sia in modo soft, sia in modo più diretto.

Se un modo diretto per eclissare il senso della festa è quello di proporre di cambiare nome al Natale di Gesù, al giorno in cui si fa memoria della nascita di Gesù, motivando questa proposta con il rispetto dovuto a chi non è cristiano, il modo soft può avere varie sfumature, dal semplice trasformare l’augurio di “buon Natale” in anonimi auguri di “buone feste” o in “auguri di tanto amore”.

Il risultato, comunque, è lo stesso: oscurare ogni riferimento a Gesù, inibire le persone a presentarsi con tutto il loro bagaglio esistenziale, soprattutto quando ha un qualche riferimento religioso.

E mentre si cerca di confinare nelle chiese e di rinchiudere nei musei ogni testimonianza sul senso religioso della vita, molte persone affidano le loro speranze, i loro sogni e le loro necessità a figure palesemente immaginarie, senza nessuna consistenza religiosa né solida dimensione antropologica.

Non sono più solo i bambini, ad esempio, che scrivono una simpatica letterina a Babbo Natale, ma anche gli adulti affidano a Babbo Natale le questioni che li angosciano, come possiamo leggere in alcuni biglietti lasciati sul grande abete nel centro della stazione di Santa Maria Novella a Firenze: “Babbo Natale, ti chiedo solo di far tornare a casa mia moglie”; “Caro Babbo Natale, trova una cura per il mio marito e proteggi i miei bimbi”.

Il Natale di Gesù si inserisce nel realismo e nella quotidianità della nostra esistenza: ci dice che siamo chiamati a farci solidali compagni di strada, anche con la preghiera, con chi sta vivendo momenti di difficoltà. Ma questo farsi solidali ci porta anche a dire che sostituire Gesù Cristo con Babbo Natale non rappresenta certamente un plus di umanità.

Il Rapporto Censis, pubblicato il primo dicembre scorso, ci descrive come “sonnambuli”, sprofondati in un sonno che ci rende ciechi davanti a qualsiasi scenario. Ma prima o poi qualcosa ci risveglierà e ci renderemo conto di quanto sia stato deleterio non aver voluto vedere, per non essere disturbati nel nostro sonno.

I segnali che già ci raggiungono non sono pochi «soprattutto in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame – c’è fame nel mondo! – e da altre ferite che abitano la nostra storia» (Francesco, Discorso alla curia romana, 21 dicembre 2023).

Abbiamo davvero bisogno tutti di un sussulto, di uno slancio, di una speranza fondata, che ci spinge a essere costruttori di un nuovo futuro.

In questa notte, come ogni anno, ci inchiniamo davanti al grande mistero dell’incarnazione, che è per tutti annuncio della tenerezza e del sorriso di Dio, annuncio di umanità e di misericordia.

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