Omelia domenica 28 gennaio 2024

Quarta domenica Tempo Ordinario anno B: Dt 18,15-20   Sal 94   1Cor 7,32-35   Mc 1,21-28

Di fronte alle molteplici parole, immagini e messaggi che ci sommergono, il primo problema è la selezione: va fatto un discernimento sull’attendibilità e sull’effettiva utilità.

Ci giungono parole e immagini false o che tendono a ingannare per il modo con cui vengono presentate. Siamo raggiunti da messaggi insistenti o che veicolano visioni ideologiche o spiritualità seducenti ma devianti.

Ci sono pure messaggi che, pur non essendo falsi, risultano vuoti, restano in superficie, sanno di chiacchiera. Molte parole vere in sé stesse non colpiscono, perché ci raggiungono, o le esprimiamo, in modo fiacco o risultano insignificanti per mancanza di aderenza alla vita reale delle persone.

Possiamo costantemente frequentare anche ambiti in cui risuonano parole vere, ma che non ci smuovono, che non fanno emergere la verità di quello che siamo, come stava avvenendo nella Sinagoga di Cafarnao.

È significativo che proprio dentro la sinagoga, luogo sacro dove risuona la parola della Scrittura, ci sia un demonio così ben inserito senza che nessuno se ne accorga.

Gli scribi predicano, ma lo spirito impuro non viene neanche sfiorato. Gli scribi non insegnano cose sbagliate, ma forse – come molte nostre omelie o insegnamenti catechistici – si limitano a richiamare la Legge e a dare informazioni corrette sulle norme da osservare, senza però raggiungere la realtà delle persone: l’intelligenza, il cuore, la vita concreta.

Questo modo, che di fatto separa la dottrina dalla pastorale, fa il gioco di chi partecipa fisicamente alle celebrazioni senza lasciarsi coinvolgere. Si continua a vivere con i propri pensieri e le proprie abitudini, mantenendo il proprio modo di essere, dove può adagiarsi il demonio con la sua mentalità, come avviene per l‘uomo «posseduto da uno spirito impuro» che frequentava la sinagoga.

La parola di Dio è sempre efficace, interpella ogni persona e la investe di un compito unico e particolare. Siamo noi che a volte ci schermiamo per non lasciarsi penetrare, per non sentire quello che il Signore ci dice.

A volte evitiamo che la Parola di Dio ci parli perché intuiamo che metterebbe in crisi la nostra vita: lo spirito impuro non vuole essere disturbato perché sa chi è Gesù e che lo tira fuori.

Le persone presenti nella Sinagoga, finché non entra Gesù, non sanno che l’uomo è posseduto e neppure chi sia Gesù. Lo spirito impuro, invece, lo sa e glielo grida in faccia: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (1,24).

Questo racconto ci fa capire che il vero incontro con Cristo e con la sua Parola non può essere indolore, perché sconvolge. Per essere liberato dallo spirito impuro l’uomo nella sinagoga passa proprio attraverso il dolore: dopo il comando di Gesù, «Taci! Esci da lui!» (Mc 1, 25), «lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui» (Mc 1,26).

Come ha scritto Papa Francesco nella Evangelii gaudium, i predicatori – e anche catechisti e operatori pastorali – devono essere i primi a lasciarsi ferire «dalla viva ed efficace Parola di Dio, affinché questa penetri nei cuori dei loro uditori» (EG 150).

L’annuncio che siamo chiamati a far risuonare ovunque, interpella prima di tutto noi stessi e ci chiede di scrutare la nostra vita personale e comunitaria. La significatività dell’annuncio deve liberare da ogni mentalità che si oppone a Cristo partendo da dentro la comunità, dentro la Parrocchia, nel luogo della preghiera e dell’incontro.

Il fatto che lo spirito impuro sappia chi è Gesù, ci dice che non è affatto sufficiente ripetere, o apprendere, tutte le nozioni riguardanti Cristo e la sua Chiesa.

Se ci si limita, ad esempio, ad apprendere la teologia che riguarda il mistero della Chiesa, senza misurarsi con la concretezza della vita di chiesa di una comunità, in un dato contesto e composta di determinate persone, difficilmente saremo significativi e gli spiriti impuri, come avvenuto nella sinagoga, potranno continuare a partecipare alle nostre celebrazioni senza nessun disturbo.

Tutti abbiamo bisogno di una Parola vera, ma anche significativa esistenzialmente e comunitariamente. Una parola che abbia senso e che generi senso nella vita di chi la pronuncia e di chi la riceve.

Dal brano del vangelo di oggi possiamo trarre almeno un insegnamento: se nelle nostre celebrazioni non scatta nulla, se tutto rimane come prima, significa che la parola che ci raggiunge è come quella degli scribi, incapace di colpirci, oppure ci siamo schermati affinché la parola non ci penetri dentro.

Il Signore ci liberi dall’insignficanza.

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