Giovedì della Terza Settimana di Quaresima ( Ger 7, 23-28 – Salmo 94 – Lc 11, 14-23)
La liturgia oggi ci pone davanti una questione fondamentale anche per la nostra vita di credenti: non saper ascoltare e non saper accogliere l’alterità di Dio. Alla quale si aggiunge la difficoltà ad aprirsi all’alterità delle sorelle e dei fratelli che incontriamo sul nostro cammino.
Il Signore non ha mai cessato, né mai cesserà, di inviare i suoi «servi, i profeti» (Ger 7,25), per aiutare, prima Israele e oggi la Chiesa, a non smarrire il dono e la responsabilità dell’alleanza, della comunione che lui sempre ci offre, anche se questi servi trovano cuori chiusi all’ascolto.
Il brano di Geremia, che è stato proclamato come prima lettura, possiamo definirlo il lamento del Signore nei confronti del popolo di Israele che ha chiuso il cuore e smarrito la fedeltà.
Dio ha invitato, quasi supplicato, il popolo ad ascoltare la sua voce per poter vivere una relazione intima e profonda «io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Ger 7,23), ma gli israeliti non lo hanno ascoltato: «procedettero ostinatamente secondo il loro cuore malvagio e invece di rivolgersi verso di me, mi hanno voltato le spalle» (Ger 7,24).
Per non voltare le spalle al Signore e rendere sempre più vera la nostra relazione con lui e più vere le modalità con cui lo seguiamo, occorre evitare di rimanere fermi nelle nostre visioni, accogliere le sollecitazioni che ci provengono direttamente dalla parola di Dio, ma anche quelle che ci vengono da chi cammina con noi, sia pur colto con attento discernimento.
E non dobbiamo aver paura a esprimersi, con parole chiare, quando quello che sentiamo di dover dire nasce dal nostro costante cammino di conversione e lo abbiamo coltivato nel cuore e nella preghiera.
Il coraggio di affrontare quelle che possono essere, o semplicemente sembrare, zone d’ombra è necessario e doveroso, anche quando immaginiamo che non sarà certo una nostra parola a risolvere e modificare una situazione fortemente compromessa o quando possiamo benissimo intuire in anticipo le reazioni della persona o delle persone a cui ci rivolgiamo.
Come Geremia è stato mandato al popolo senza trovare ascolto (cfr Ger 7, 27), «Dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno» (Ger 7,27), chissà quante persone sono state inviate dal Signore per spingerci a una revisione della nostra vita personale e comunitaria, senza che essercene accorti.
Può succedere a ciascuno di noi, di chiudere il proprio cuore all’ascolto della parola del Signore. La cosa grave è quando chiudiamo il cuore a causa di una vissuta presunta fedeltà al Signore, mentre in realtà è fedeltà solo al nostro modo di pensare e di vivere il rapporto con lui e fra noi.
Un’altra reazione di ostinata chiusura ci viene presentata dall’evangelista Luca. Dopo che Gesù ha scacciato da un uomo un demonio muto, quell’uomo «cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore». (Lc 11,14)
Ma alcuni dei presenti, anziché interrogarsi sul senso di quanto avvenuto e su chi fosse colui che aveva scacciato il demonio, voltando le spalle e, soprattutto, il cuore all’opera di Dio, immediatamente si mettono sulla difensiva: «è per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni» (Lc 11,15).
Gesù cerca di convincerli con un ragionamento logico, ma come il profeta aveva finito dicendo «la fedeltà è sparita» (Ger 7,28), Gesù termina affermando: «Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23).
Chiuderci, lasciando indurire il nostro cuore e facendo venire meno la fedeltà, è un’illusoria modalità difensiva e che ci pone di fatto contro Gesù. Ed è un’illusoria modalità difensiva anche screditare gli interlocutori, evidenziando le loro contraddizioni e le loro mancanze, per deviare dal contenuto di quanto dicono e che, direttamente o indirettamente, mette in discussione qualcosa di noi e del nostro vivere.
Se con le nostre chiusure voltiamo le spalle al Signore, lui, però, non volta mai le spalle a noi. Ci raggiunge, ci stimola e ci incontra sempre là dove siamo e come siamo, immersi nella nostra debolezza, ma anche con le nostre migliori risorse.
Ci raggiunge per scuoterci, invitarci all’ascolto e a mettere ordine nei nostri sogni e nei nostri desideri, perché il nostro cuore non sia diviso e perché si consolidi in noi la certezza che lui è più forte di ogni male e ci garantisce la certezza della vittoria.
Chiediamo al Signore il dono di sentirsi mancanti, peccatori, bisognosi di cambiamento. È il primo e fondamentale passo per aprirsi all’ascolto, vivere la fedeltà a lui e aprirsi a una nuova fraternità.