Omelia Badia Fiorentina 6 maggio 2021

Giovedì  quinta di Pasqua: At 15,7-21   Sal 95   Gv 15,9-11

Il brano degli Atti degli apostoli che abbiamo ascoltato, narra la conclusione della prima drammatica discussione che la Chiesa ha dovuto affrontare, quando i pagani hanno iniziato a convertirsi al Vangelo, diventando membri di una comunità fino a quel momento composta esclusivamente da persone provenienti dal giudaismo.

Quello che accade alla prima comunità cristiana, di fronte a un evento nuovo, rivela quel che succede sempre in ogni comunità, tra gruppi di persone anche credenti: la diversità di pensiero e di valutazione su una stessa questione, su una medesima situazione.

L’ingresso di persone nuove e il cambiamento del contesto nel quale siamo inseriti, pongono sempre sfide inedite e possono anche mettere in crisi. Comunque impongono l’esigenza di un ripensamento, di un adeguamento, di un passo avanti.

In comunione con il Santuario di Nostra Signora d’Aparecida (Brasile) e con tutta la Chiesa, che in questo mese di maggio invoca l’intercessione di Maria per la fine della pandemia, oggi preghiamo per i giovani. La loro presenza, ma anche la loro assenza, nelle e dalle nostre comunità, ci interpella ed esige un ripensamento, un adeguamento, un vero passo avanti.

L’assemblea di Gerusalemme non ha avuto paura a mettere a fuoco i problemi, con quel che comportano per la comunità cristiana, offrendoci una luce importante sul metodo ecclesiale per affrontare le crisi, le divergenze e per ricercare la «verità nella carità» (Ef 4,15).

Il metodo ecclesiale per affrontare le questioni e per la risoluzione dei conflitti si basa sul dialogo fatto di ascolto attento e di paziente discernimento. Ascolto e discernimento aperti alla luce dello Spirito. «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi» (At 15,28), scriveranno gli apostoli ai cristiani di Antiochia per comunicare le decisioni assunte.

La vera sinodalità, con cui si superano chiusure e tensioni e si giunge a una nuova sintesi unitaria, non è data solo dal confronto, ma anche dall’apertura allo Spirito.

Se manca l’apertura allo Spirito, non si può parlare di sinodalità, ma di chiacchiere; di parole che rimangono nel solo orizzonte umano, anche se si fanno riflessioni di alto profilo.

La questione in discussione all’assemblea di Gerusalemme era di importanza capitale, tanto da determinare l’identità della stessa comunità cristiana.

Il risultato di quel difficile e indispensabile confronto è di estremo valore ed evidenzia l’unica vera e perenne condizione per essere in comunione con Dio e in pace con i fratelli: mettere al primo posto la parola di Gesù.

Per arrivare a questa determinazione, gli apostoli hanno dovuto operare una purificazione interiore, spogliandosi di quella tentazione a cui è esposta ogni vita religiosa: l’illusione di controllare il rapporto con Dio attraverso la fedeltà a prescrizioni, regolamenti, pratiche particolari. Che, nel caso degli apostoli, consisteva nella fedeltà alla legge di Mosè come mezzo di salvezza.

Ma l’azione dello Spirito Santo, che Dio concede a chi ascolta la parola e crede in Gesù, invece, sfugge a ogni controllo umano.

Certo, «astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue» (At 15,19-20) sono cose concrete, ma prima di tutto sono un modo di essere e di porsi, che si fonda sul fatto che solo in Gesù c’è salvezza. La salvezza viene solo da Dio e dal suo amore.

Non è affatto scontato vivere il rapporto con Dio fondato sulla fedeltà del suo amore e non sulla logica dei meriti e sui conseguenti sensi di colpa. Ma tutto quello che il Signore ci dice e ci chiede è perché la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena (cfr Gv 15,9).

Gesù sembra voler comunicare soltanto libertà e gioia, quando propone ai discepoli di non fare altro se non rimanere uniti a lui: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15,10).

Per rimanere in questa relazione di fedeltà e di amore, è necessario celebrare, vivere e testimoniare il Vangelo, guardando verso il mondo, per essere pronti, e disposti, a riconoscere con quanta creatività e quanto amore lo Spirito del Risorto opera meraviglie in ogni ambito.

Il fondamento di tutto è l’amore del Padre per Gesù e l’amore di Gesù per noi. È questo, e solo questo, che ci rende liberi, ci dona gioia e pienezza di vita.

Ed è questo amore, con la certezza che solo in Cristo c’è salvezza, che ci spinge ad affrontare con fiducia ogni novità e ogni sfida, interna ed esterna alla Chiesa, anche in questo difficile «cambiamento d’epoca» (Francesco, Firenze 15/11/15).

Come avvenuto per la prima comunità cristiana, ogni novità ed ogni sfida, anche oggi, è per la crescita e per il bene della nostra vita personale e comunitaria.

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