Seconda di Quaresima anno C: Gen 15,5-12.17-18 Sal 26 Fil 3,17- 4,1 Lc 9,28-36
L’evangelista Luca ci racconta che sale sul monte a pregare e che, mentre stava pregando, il suo volto cambiò d’aspetto e apparvero Mosè ed Elia per parlare con lui «del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31).
Si tratta di un’esperienza di luce e di gloria. Tuttavia, per il timore e la tensione di quanto li aspetta a Gerusalemme, Pietro e gli altri, prima cedono alla pesantezza del sonno e poi cercano di fermare il tempo: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa» (Lc 9,33).
Quando la realtà si presenta complessa, problematica e di difficile lettura, è sempre forte la tendenza a rinviare decisioni che appaiono dolorose, a guardare da un’altra parte, a fermarsi in superficie, ad accontentarsi di slogan comodi e facili.
Luca, più di altri evangelisti, si sofferma sul sonno dei discepoli. Ascoltare che Gesù «deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22), è cosa forte e si lasciano vincere dalla stanchezza, come poi avverrà anche nell’orto degli ulivi, quando si addormentano «per la tristezza» (Lc 22,45).
Il tempo di Quaresima ci invita in modo tutto particolare a mantenere fisso lo sguardo su Gesù e a rimanere aderenti alla concretezza delle situazioni. E, questo, implica una costante lotta contro la pericolosa tentazione dell’illusione di poter aggirare o fuggire dalla realtà. Tentazione che spesso prende il volto dell’incoscienza, della distrazione, della rimozione.
Pur di non pensare e di non affrontare la difficoltà della responsabilità e della decisione, si moltiplicano le opportunità di svago, offerte dal fiorente mercato dell’evasione, oppure semplicemente ci si mette cercare post che confermano il nostro modo di pensare o ci si distrae chattando sul cellulare.
Se la fuga dalla realtà diventa la norma, non saremo mai persone mature e libere. Saremo come gli ignavi che Dante, nel III Canto dell’Inferno, definisce come coloro che mai non fur vivi; che mai hanno vissuto.
Il peccato degli ignavi è stato quello di rimanere fermi. E la loro punizione è immaginata da Dante come una corsa forsennata dietro un’insegna che gira su sé stessa. Coloro che non avevano scelto, che non avevano corso verso una meta, adesso corrono a vuoto, inutilmente.
Rispondere alla chiamata di Dio significa anche andare alla radice delle cose, leggere la realtà nella sua concretezza, assumersi le proprie responsabilità.
Per questo abbiamo bisogno di momenti in cui ci distanziamo dalle situazioni, per poter vedere le cose “dall’alto” e acquisire la capacità di vedere più lontano; soprattutto momenti per rigenerarci con la relazione intima col Signore e con la parola che salva e che dà sostanza e senso a ogni nostra parola.
La realtà non si cambia mettendo la testa sotto la sabbia o rimanendo in superficie e neppure evadendo dalle responsabilità che gravano sulle nostre spalle. Prima o poi le cose si mostreranno per quello che sono.
Come sperimentiamo ogni giorno, nel cammino si incontrano oscurità e incertezze. Però, come ci dice il vangelo di oggi, se è vero che la nube nasconde, è anche vero che attraverso la nube è possibile udire la voce del Padre che chiama, rassicura e conferma.
L’oscurità di una nube che ci avvolge – oggi resa più scura dal perdurare della pandemia e dal dramma della guerra – può diventare il luogo in cui Dio ci mostra il suo vero volto e ci indica qual è la vera voce da seguire: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,35).
Quando la gloria di Dio non ci appare sufficientemente visibile ed evidente, con insistenza siamo chiamati a perseverare, a credere ancora. E lo possiamo fare anche attraverso la preghiera, la cui radice è proprio l’ascolto.
L’esperienza di gloria presentata da Luca, ruota tutta attorno alla preghiera: «Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare» (Lc 9,28). Nell’intimo ascolto del Padre, Gesù si trasforma, «il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9,29) e si relaziona: «e apparvero due uomini che conversavano con lui» (Lc 9,30).
Pure il nostro volto può superare ogni deturpazione causata dai noastri egoismi, aprendo il cuore all’intimità dell’ascolto.
Per attraversare la notte e vedere quel sole che la notte può solo momentaneamente velare, ma mai oscurare, il segreto sta proprio nel vivere l’intimità col Padre senza stancarci mai e nel fare quello che il Padre ci dice: ascoltare la parola del Figlio. Fare dell’ascolto la nostra vita.