Schema Omelia domenica 12 giugno 2022

Solennità della SS Trinità – Anno C: Pr 8,22-31   Sal 8   Rm 5,1-5   Gv 16,12-15

Le chiese cristiane proclamano e confessano la Trinità di Dio in ogni celebrazione liturgica e, come cristiani, esprimiamo la fede nella Trinità anche personalmente ogni volta che facciamo il segno di croce.

Con questa solennità, tuttavia, siamo invitati ad un momento di particolare contemplazione della Trinità di Dio e chiamati alla lode, al ringraziamento, all’adorazione di questo mistero.

Padre, Figlio e Spirito santo sono termini che umanamente indicano la realtà e la vita intima di Dio, sapendo che le nostre povere parole sono incapaci di dire la profondità di questo mistero e dell’amore di Dio.

Non è un caso che, per dire qualche parola sulla Trinità di Dio, dopo secoli ricorriamo ancora all’intuizione di Agostino che vede nel Padre l’Amante, nel Figlio l’Amato e nello Spirito l’Amore.

La celebrazione della Trinità, però, non ci rimanda a una dottrina astratta e lontana, ma alla specificità cristina e alla verità della vita.

Quello che distingue i cristiani non è la fede in Dio: anche ebrei e musulmani credono in Dio. La differenzia non sta neppure nella preghiera, perché è presente in ogni esperienza religiosa. La specificità cristiana non è data neanche dall’amare Dio e il prossimo: altre religioni dicono di amare Dio e di amare gli altri.

La specificità cristiana, che segna la differenza, è il Dio in cui si crede. Per il cristiano, Dio non è una divinità generica, come non è l’assoluto, l’inaccessibile, il giudice pronto alla resa dei conti, ma è un padre che vuole comunicare la sua vita e donare la sua misericordia. Più specificatamente, il cristiano crede in «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3; 1Pt 1,3).

Non basta semplicisticamente dire che, indipendentemente da come lo chiamiamo, è sempre lo stesso Dio, perché ogni idea o espressione di Dio ha una ricaduta immediata sull’identità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27) e che per il cristiano è «figura di colui che doveva venire» (Rm 5,11), cioè di Cristo.

Il Dio biblico è un Dio che tende a costruire una storia di relazione con l’uomo; una relazione così profonda che consente a ciascun fedele di entrare nella comunione stessa di Dio Trinità.

La vita è relazione, nella dimensione divina e in quella umana. Dio in sé stesso è comunione, comunicazione, dono.

La celebrazione della Trinità, quindi, interpella e provoca la verità della nostra vita, la nostra disponibilità e capacità di amare.

In questo nostro tempo siamo apparentemente connessi, ma in realtà siamo profondamente soli.

La solitudine che viviamo non è solo questione di comunicazione, ma è una questione di attenzione all’altro e, soprattutto, di amore.

Siamo sempre più soli perché sempre meno disposti a uscire da noi stessi, a riconoscere le esigenze e domande dell’altro. Pur avendo bisogno di amare e di essere amati, siamo sempre meno disposti ai rischi che l’amore domanda.

L’amore che è stato riversato nei nostri cuori (cf Rm 5,5) come ci dice san Paolo, ha anche a che fare con la tribolazione, la sofferenza, la fatica. Ma è proprio quella fatica, ci ricorda san Paolo, che produce la pazienza (cf Rm 5,3), che fa crescere e permette di non smarrire la speranza e il senso della nostra esistenza. Quando si ama, la vita non ci appare mai banale o inutile.

Come sappiamo, in una relazione di amore occorre franchezza, ma anche rispetto dei tempi e dei momenti per comunicare fruttuosamente quello che è necessario e giusto condividere.

Come abbiamo udito dal vangelo, Gesù riconosce che i discepoli hanno bisogno di fare un cammino (Gv 16,12). Nella relazione con lui, hanno ancora cose da imparare e da capire, ma hanno bisogno di tempo. La storia deve fare il suo cammino.

Celebrare la Trinità è contemplare l’Amore per essere sempre più immagine dell’amore che abita nei nostri cuori e che è la fonte della nostra capacità di amore.

Quello riversato in noi non è un amore generico, ma l’Amore tra il Padre e il Figlio; un amore concreto, fatto di comunione, dove tutto quello che è di uno è pure dell’altro (cf Gv 16,15).

La solennità di oggi ci ricorda l’amore tra il Padre e il Figlio che, nello Spirito, si dona a ciascuno di noi e ci rende partecipi della comunione trinitaria, sorgente inesauribile di fecondità.

La fede nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo ci dice che non dobbiamo accontentarci di surrogati dell’amore, perché abbiamo la possibilità di vivere la fecondità dell’amore trinitario.

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