Schema Omelia domenica 19 giugno 2022

Le varie espressioni della religiosità umana e la stessa pietà cristiana sono segnate dalla presenza di immagini, statue e reliquie.

Le immagini certamente aiutano, ma hanno un valore relativo: per evitare di trasformarle in idoli, è sempre bene tener presenti le parole del salmo: «Si vergognino tutti gli adoratori di statue e chi si vanta del nulla degli idoli» (Sal 97,7).

La solennità del Corpo e del Sangue di Cristo va al di là di ogni segno e ci dice che il fondamento e l’essenza della vita cristiana è dato dal fatto che il Signore risorto è vivo e presente in mezzo a noi e si dona come cibo e come bevanda di vita.

Nella lettera ai Corinzi, per ben due volte l’apostolo Paolo ci trasmette la testimonianza più antica delle parole dette da Gesù durante l’Ultima Cena.

Come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, Gesù comanda di ripetere il gesto con cui ha istituito il memoriale della sua Pasqua, mediante il quale ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue.

«Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24). Cioè prendete il pane, rendete grazie e spezzatelo; prendete il calice, rendete grazie e distribuitelo.

“Fare” l’Eucaristia, cibarsi del corpo e sangue di Cristo, attualizza e annuncia la salvezza: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11,26).

Queste parole ci dicono che non si partecipa pienamente alla celebrazione eucaristica con la sola, sia pur devota, presenza alla Messa, ma cibandosi del corpo del Signore.

Quando ci mettiamo a tavola, anche l’occhio vuole la sua parte e un piatto ben preparato aiuta. Ma il cibo è posto sulla tavola per nutrire, per essere consumato, non per essere contemplato.

La presenza alla Messa, così come l’adorazione eucaristica, possono essere ridotte a semplice azione devozionale e individualistica, se manca la dimensione comunitaria e se non ci nutriamo del corpo del Signore.

Nella Bibbia il banchetto è sempre considerato un evento di comunione. Il profeta Isaia, ad esempio, parla di un Dio che prepara per tutti i popoli un banchetto che permette di entrare in piena comunione con Lui (cfr Is 25,6). Lo stesso Gesù parla del regno con l’immagine del banchetto, mettendo in evidenza la necessità delle giuste disposizioni interiori (Mt 22,1-14). L’Apocalisse, addirittura, definisce «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!» (19, 9).

L’immagine del banchetto ci richiama sempre alla dimensione comunitaria della vita, della fede e della celebrazione eucaristica, provocando e mettendo in discussione la nostra tendenza all’individualismo, anche religioso, e a lasciare che gli altri si arrangino, come vorrebbero fare gli apostoli con la gente che sta ascoltando Gesù nel deserto.

L’evangelista ci racconta che, mentre Gesù sta parlando «alle folle del regno di Dio» e guarendo «quanti avevano bisogno di cure» (Lc 9,11), i Dodici, preoccupati perché «il giorno cominciava a declinare» (Lc 9, 12), chiedono a Gesù di smettere di predicare e di allontanare la folla, affinché ognuno possa provvedere ai propri bisogni.

Il pensiero degli apostoli non è così distante dalla mentalità attuale, che plasma fortemente anche la nostra dimensione religiosa, rendendola bisognosa di una forte e profonda conversione.

Ai Dodici, convinti che ognuno debba provvedere a per sé stesso, Gesù dice: pensateci voi.

Gesù cerca di educare i suoi alla logica della relazione e del dono; a rendersi conto di ciò che possono fare condividendo quello che hanno, soprattutto se quello che hanno lo mettono nelle sue mani.

Il risultato è che non solo gli apostoli ma anche i discepoli daranno davvero da mangiare alla folla, quando Gesù restituisce loro il pane e i pesci che gli avevano dato.

Il racconto è intessuto di sottili rimandi all’ultima cena, con i verbi caratteristici della celebrazione eucaristica: prendere, benedire, spezzare, dare.

Chi si nutre della parola e del corpo di Cristo, sa anche vedere il corpo del fratello e della sorella con il suo specifico bisogno e sa condividere quel che ha, sapendo che Gesù è la vera risposta alla fame di tutti e di ciascuno.

Questo racconto risuona come un appello alla nostra comunità e all’intera Chiesa. Ci interroga sulla centralità dell’eucaristia nella nostra vita, sulla nostra capacità di consegnare a Gesù il poco che abbiamo e ci invita a verificare come stiamo distribuendo il pane che Gesù mette nelle nostre mani.

Il sacramento dell’Eucarestia è mistero da credere e da celebrare: è mistero da vivere. Come diceva Sant’Agostino, diventiamo ciò che riceviamo.

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