Natività della Beata Vergine Maria: Mi 5,1-4 Sal 12 Rm 8,28-30 Mt 1,1-16.18-23
Fratelli e Sorelle,
Non nascondo la commozione per trovarmi nuovamente in mezzo a voi, a celebrare nella nostra Chiesa di Santa Maria, anche se per poter ritornare in parrocchia in modo stabile occorrerà ancora un po’ di tempo.
Rendo grazie al Signore che mi ha concesso di essere qui questa sera a festeggiare con voi la Natività di Maria, patrona della nostra parrocchia. E ringrazio tutti voi, per essermi stati vicini e avermi sostenuto col vostro affetto e la vostra preghiera, durante e oltre il periodo di degenza in ospedale.
Contemplare Maria, fin dalla sua nascita, ci apre all’accoglienza del piano di salvezza di Dio e ci aiuta a camminare nella fede in Cristo.
Come ben sappiamo, il ruolo di Maria nella storia della salvezza è quello di accogliere il Verbo, che in lei si fa carne, e di offrirlo e indicarlo all’intera umanità, perché ciascuno, ascoltandolo, possa mettere in pratica la sua parola: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5).
Il primo atteggiamento da assumere, pertanto, è quello chiesto da Maria: ascoltare Gesù, per riscoprire il suo vero volto e fare quello che lui ci dice.
Riscoprire il vero volto di Gesù, fra l’altro, evita, come purtroppo avviene per molte persone anche nella nostra parrocchia, di confondere l’esperienza di fede con l’adesione a un catalogo di precetti o con l’attaccamento a una serie di pratiche religiose, vissute come se la protezione di Maria e la stessa salvezza di Dio dipendessero dalla dedizione a queste pratiche.
L’esperienza di fede è essenzialmente un incontro con la persona di Cristo, a cui Maria, accogliendo l’annuncio dell’Angelo, ha offerto le fattezze umane.
Celebrare la Natività di Maria ci insegna a leggere nella sua vita e nella sua storia, così come nella nostra vita e nella nostra storia, la presenza di Dio che opera e chiama a mettere a disposizione quello che siamo, non per la realizzazione dei nostri disegni e desideri, ma a servizio del suo piano di salvezza per tutta l’umanità.
Come chiaramente emerge dal vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato, il piano di Dio si dipana nei secoli attraverso la storia degli uomini e delle donne di ogni tempo, nel susseguirsi delle generazioni.
Il piano di salvezza del Padre trova in Cristo il suo punto culminante e si comunica e si concretizza nell’oggi anche attraverso la risposta che diamo con la nostra vita.
Per essere vera, coinvolgente e significativa, però, la nostra risposta esige un costante e profondo ascolto della parola di Dio, una forte aderenza alla realtà e un atteggiamento che valorizzi le relazioni interpersonali e sociali.
Sotto lo sguardo amorevole di Maria, questa sera iniziamo un nuovo anno pastorale, che cercheremo di vivere in continuità con il cammino avviato e in comunione con la nostra chiesa diocesana, con l’intera chiesa italiana e con la chiesa universale.
Sappiamo bene, come rileva il cardinale Matteo Zuppi, nell’introduzione alle prospettive del secondo anno sinodale della Cei, che non «è facile mettersi in cammino, soprattutto in questa stagione segnata da tanta paura, incertezza, smarrimento». E non è facile camminare «insieme, perché siamo tutti condizionati dall’individualismo e dal pensare gli altri in funzione nostra e non viceversa».
Il nostro camminare insieme come parrocchia, da oggi si arricchisce di una nuova e significativa presenza. Per incarico del vescovo, come collaboratore parrocchiale, da questa sera inizia il suo ministero a Santa Maria don Francesco Vicini, che salutiamo e accogliamo con affetto.
Nonostante le palpabili difficoltà oggettive e quelle soggettive di ciascuno di noi, sono certo che quello che ci sta davanti sarà un anno proficuo, perché tutti – anche chi fa resistenza – sentiamo la necessità di una scossa, il bisogno di una nuova rinascita, di una “conversione sinodale” che ci faccia passare dalla soffocante chiusura dell’io alla liberante apertura del noi.
In quest’anno pastorale dovremo davvero mettere le basi necessarie per uscire dall’individualismo, singolo e di gruppo. Cercheremo di farlo dando spessore sociale alla fede, aiutati dal libro di Amos indicato dalla dioces come il libro biblico di quest’anno, e dando vita ai Cantieri di Betania, proposti dalla Cei per questo secondo anno del percorso sinodale, sui quali ci soffermeremo successivamente in un apposito incontro.
Per rendere fruttuoso il nostro cammino, dovremo far tesoro del percorso sinodale avviato – che la Chiesa Italiana ha sintetizzato nel documento «Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione» – e dovremo guardare con realismo ad alcuni nodi concreti che siamo chiamati a sciogliere, per rendere vera comunità ecclesiale questa nostra ricca, complessa e articolata realtà parrocchiale di Santa Maria.
Siamo tutti ben consapevoli, che uno dei principali impedimenti alla vita della parrocchia è dato dal fatto che, come in tante altre parrocchie, si vivono «cammini paralleli dove ognuno vive la propria realtà senza interferire, senza interrogarsi…» (Per una Chiesa sinodale, 2.7).
È vero che, in generale, la «Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza, diventando un alibi per deleghe o rifiuti da parte dei laici, relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”. Ma non per questo esenti dal rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati» (Per una Chiesa sinodale, 2.6).
Nella nostra parrocchia, per la verità, il clericalismo sembra più marcato in certi laici che negli attuali preti. Basta guardare al modo con cui ci si rapporta al “cerimoniale” delle celebrazioni liturgiche e al fatto che i vari compiti affidati per la vita della parrocchia, o quelli che qualcuno si è scelto, vengono generalmente gestiti come se fossero cosa propria e non trovassero, come la loro natura richiede, l’origine, la spinta e la necessaria verifica nella comunità parrocchiale.
Come abbiamo più volte detto, non si tratta entrare tutti nella concretezza di tutte le singole cose, ma di arrivare a una vera condivisione e alla verifica delle linee portanti di quello che si sta facendo nei vari ambiti, perché sono le linee portanti che danno identità e unità alla parrocchia.
Quando il parroco, o un suo collaboratore, svolge una qualche attività indipendentemente da tutto, ad eccezione del puro ministero sacramentale e magisteriale, non si può dire che opera come parrocchia, anche se il parroco ne è il legittimo rappresentante.
Similmente non possono essere chiamate iniziative o opere parrocchiali quelle che una o più persone svolgono muovendosi senza nessun effettivo confronto e senza alcun concreto coinvolgimento e verifica col parroco e, almeno, con gli organismi di partecipazione. E non può certamente bastare la sola informazione o chiedere, ogni tanto, se è meglio fare in un modo o in un altro.
«Tante “bolle” separate rendono le comunità frammentate, spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa. Per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano, occorre investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa. In particolare, la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi». (Per una Chiesa sinodale, 2.8)
La dimensione ecclesiale non si costruisce sulle devozioni e sui servizi, né tanto meno sulla efficienza e capacità di risposta. Gli Atti degli Apostoli ci insegnano che i servizi sono successivi alla costruzione della dimensione comunitaria, che si fonda nella fede in Cristo, risorto e presente, e si costruisce nelle e con le relazioni fraterne.
«La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni – pur necessari – e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro, soprattutto quando si svolge un ministero e un servizio» (Per una Chiesa sinodale, 2,3)
Maria, che dona rifugio, conforto, sostegno e protezione a chi a lei si rivolge con umiltà di cuore, ci aiuti a superare l’efficientismo e il devozionismo che ci impediscono di scoprire e vivere la bellezza di essere figli nel Figlio, «chiamati secondo il suo disegno» (Rom 8,28), e di sperimentare la ricchezza di essere membra dell’unico corpo di Cristo.
Maria, patrona di questa nostra parrocchia, interceda per noi!