Omelia Badia Fiorentina 12 gennaio 2023

Giovedì seconda settimana tempo ordinario dispari: Eb 3,7-14   Sal 94   Mc 1,40-45

L’incontro tra Gesù e un uomo malato di lebbra, narrato dall’evangelista Marco, ha un inizio improvviso, senza precisazione di tempo e di luogo e può anche essere collocabile qui e ora, manifestando tutta la sua attualità.

La lebbra, per un giudeo, non era solo una malattia devastante, ma anche segno del castigo di Dio: una malattia con la quale erano stati colpiti per i loro peccati anche la sorella di Mosè, Miriam (cf. Nm 12,9-10), il servo del profeta Eliseo (cf. 2Re 5,27).

La legge prevedeva di mantenersi a distanza dai lebbrosi, per non essere contagiati nel corpo e per non essere contaminati dalla loro impurità, che avrebbe impedito di essere ammessi alle celebrazioni del culto.

Un lebbroso, dunque, appariva come una persona senza possibilità di relazione e di comunione, né con Dio né con gli uomini.

Del lebbroso di cui parla Marco non conosciamo nulla: non possiamo valutare la sua vita e la sua fede. Sappiamo solo che, con parole e gesti, si rivolge a Gesù con audacia: «venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”» (Mc 1, 40).

Il gesto di mettersi in ginocchio dispone alla supplica e ad accogliere lo Spirito che rialza e fa ritrovare la via della vita.

Forse abbiamo un po’ perso questa postura: ci mettiamo poco in ginocchio davanti a Dio per supplicarlo, per lasciare che lo Spirito si immerga nella nostra vita e per essere poi noi ad immergerci nella tumultuosità delle nostre giornate.

Il Servo di Dio Alcide De Gasperi (1881-1954), grande statista che ha saputo unire fede e impegno politico, diceva: “Mi inginocchio dinanzi all’Eucaristia per poter essere in piedi dinanzi agli uomini”.

L’evangelista Marco richiama in modo particolare il modo con cui il lebbroso viene sanato: Gesù non lo purifica rimanendo a distanza, come avviene in altri momenti e contesti per altri lebbrosi, ma «tese la mano, lo toccò» (Mc 1,41).

Nel tendere la mano e toccare il lebbroso non c’è solo pietà umana, importante perché porta a commuoversi e a offrire i mezzi per superare o alleviare le ferite dell’altro, ma c’è vicinanza, relazione, condivisione e comunione che vengono instaurate facendo quello che la Legge proibisce.

Come l’inginocchiarsi del lebbroso è stato accompagnato dalla sua supplica, il gesto di Gesù viene accompagnato dalla parola: «Lo voglio, sii purificato!» (Mc 1,41). E subito, annota l’evangelista «la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato» (Mc 1,42).

Gesù non cerca gratitudine per la sua azione, ma in modo che sembra burbero, chiedendo all’uomo di non rivelare come era stato guarito e di andare a mostrarsi ai sacerdoti, lo caccia «via subito» (Mc 1,43).

Il lebbroso sanato, però, non tace e «si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1,45), tanto che, mentre l’uomo ormai guarito può muoversi liberamente, «Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città». L’azione missionaria di Gesù, comunque, non si ferma, perché «venivano a lui da ogni parte» (Mc 1,45).

Alla luce dell’insegnamento di Gesù, la lebbra non può certamente essere intesa come frutto del peccato, come veniva interpretata a quel tempo, ma si può simbolicamente parlare di lebbra spirituale, capace di far ammalare tutta la nostra vita.

L’autore della Lettera agli Ebrei è talmente convinto che nel cuore può davvero annidarsi quella che potremmo chiamare lebbra spirituale, che non esita a mettere in bocca allo Spirito Santo l’affermazione iniziale del brano che oggi ci viene proposto come prima lettura: «Come dice lo Spirito Santo: ‘Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione’» (Eb 3,7).

L’autore motiva questa affermazione facendo menzione del pericolo sempre incombente di avere «il cuore sviato» (3,10) e pronunciando una viva supplica: «Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente» (Eb 3,12).

Insieme alla consapevolezza di avere un potenziale cuore malato, sempre a rischio di allontanarsi da Dio e dalle vie da lui indicate, c’è la necessità di riconoscere di aver sempre bisogno di purificazione, di guarigione, di salvezza.

Per non perdere o per ritrovare la via della salvezza, come il lebbroso del vangelo, prima ancora di chiedere e supplicare, è necessario sapersi mettere «in ginocchio» (Mc 1,40). Non per rimanere in ginocchio, ma per poter affrontare la vita stando in piedi di fronte al mondo.

Non si guarda alla vita con gli occhi di Dio se non sappiamo metterci in ginocchio, ma non la si affronta neppure come Dio ci domanda se sappiamo stare solo in ginocchio.

div#stuning-header .dfd-stuning-header-bg-container {background-color: #595959;background-size: cover;background-position: center center;background-attachment: scroll;background-repeat: no-repeat;}#stuning-header div.page-title-inner {min-height: 550px;}#main-content .dfd-content-wrap {margin: 0px;} #main-content .dfd-content-wrap > article {padding: 0px;}@media only screen and (min-width: 1101px) {#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars {padding: 0 0px;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars > #main-content > .dfd-content-wrap:first-child,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars > #main-content > .dfd-content-wrap:first-child {border-top: 0px solid transparent; border-bottom: 0px solid transparent;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width #right-sidebar,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width #right-sidebar {padding-top: 0px;padding-bottom: 0px;}#layout.dfd-portfolio-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars .sort-panel,#layout.dfd-gallery-loop > .row.full-width > .blog-section.no-sidebars .sort-panel {margin-left: -0px;margin-right: -0px;}}#layout .dfd-content-wrap.layout-side-image,#layout > .row.full-width .dfd-content-wrap.layout-side-image {margin-left: 0;margin-right: 0;}