Giovedì sesta settimana di Pasqua: At 18,1-8 Sal 97 Gv 16,16-20
Come aveva fatto ad Atene con i pagani nel suo discorso all’Areòpago (Cfr At 17,22-33), proposto ieri dalla liturgia, anche nel brano appena ascoltato, Paolo non parla subito di Gesù, ma cerca di acquisire una certa credibilità commentando le scritture: «Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci» (At 18,4).
Ad Atene, prima di parlare della risurrezione di Gesù, Paolo aveva spiegato che c’è un unico Dio, che giudicherà il mondo, e che noi siamo peccatori. Parlando in Sinagoga, cerca di dare una base biblica persuasiva per preparare le persone a comprendere chi è Gesù Cristo e il loro bisogno di lui, probabilmente dicendo di come sarebbe stato il Cristo, il Messia, e della necessità di un Salvatore.
Come avvenuto per il discorso all’Areopago, però, anche in questo caso si assiste a un cambiamento repentino e radicale quando Paolo – dopo l’arrivo di Sila e Timoteo – si dedica tutto alla Parola «testimoniando davanti ai Giudei che Gesù è il Cristo» (At 18,5).
La reazione dei giudei, per la verità, si dimostra più netta e violenta di quella degli ateniesi, tanto che Paolo, «scuotendosi le vesti», afferma: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente. D’ora in poi me ne andrò dai pagani». (At 18,6).
Pur apparendo come dure sconfitte, sia il discorso di Atene che quello di Corinto rappresentano semi lanciati da cui nascono frutti.
Ad Atene «alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro» (At 17,34). Mentre a Corinto: «Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e molti dei Corìnzi, ascoltando Paolo, credevano e si facevano battezzare» (At 18,8); nasce così la chiesa di Corinto.
Quando manca una base, un percorso personale, un profondo desiderio di ricerca, allora come oggi, le persone non sono pronte a sentire parlare subito di Gesù e a lasciarsi interrogare.
Una certezza, però, ci deve sempre accompagnare: ogni persona, in qualsiasi epoca della storia, per la potenza misteriosa dello Spirito, può accedere a Cristo attraverso gli incontri più disparati e dentro i tornanti più impensati della propria esistenza.
L’episodio dell’Areòpago e quello della Sinagoga di Corinto, mi pare che, ai discepoli di ogni tempo, suggeriscono la necessità di imparare a presentare il vangelo tenendo presente il contesto sociale e religioso nel quale si trovano e la realtà concreta delle persone con le quali parlano.
Nel nostro contesto attuale, ad esempio, penso non si possa eludere l’esigenza di rendere credibile la visione cristiana della storia e del mondo e quella di ripensare e ridisegnare il modo con cui come comunità cristiana abitiamo lo spazio pubblico e interagiamo con le persone e il pensiero contemporaneo.
Dobbiamo pure prendere atto che, al momento, pur non mancando buone idee e buoni programmi, non riusciamo a misurarci fino in fondo con la concretezza della situazione attuale e questo impedisce di tradurre queste idee e questi programmi nel nostro vissuto personale e comunitario.
Il misterioso discorso di Gesù sui tempi della sua morte («un poco e non mi vedrete più») e della sua resurrezione («un poco ancora e mi vedrete») mira a far entrare i discepoli dentro il mistero pasquale (Cfr Gv 16,16). E lo fa avendo ben presente il contesto religioso nel quale si trovano, caratterizzato dall’aspettativa di un messia glorioso e vincente.
Come non è venuto a ricostituire «il regno per Israele», Gesù non è venuto neppure a offrire garanzie per vivere “felici e contenti” su questa terra.
La gioia che Gesù promette è diversa da quella del mondo: è difficile da capire ma la si può sperimentare a livello profondo; non evita il dolore, ma è presente mentre lo si attraversa: «Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20).
La fede in Cristo conferisce un senso alla vita e dona quella gioia che si fonda sul dono che lui fa della sua vita e sul dono dello Spirito, che con forza agisce in noi, ma mai al nostro posto.