Omelia Badia Fiorentina 13 luglio 2023

Giovedì della quattordicesima settimana tempo ordinario – dispari: Gen 44,18-21.23-29; 45,1-5   Sal 104   Mt 10,7-15

Il momento drammatico in cui Giuseppe rivela la sua identità ai fratelli, narrato dalla prima lettura, ci ricorda che per vivere una fraternità vera e per leggere la vita e la storia alla luce della volontà di Dio, occorre fare un lungo e tortuoso cammino.

Il cuore di Giuseppe, carico dei pensieri e dei sentimenti accumulati da quando è stato venduto dai fratelli, prima di esprimere il perdono sente il bisogno di esplodere.

Dopo aver chiesto «a tutti i circostanti» (Gen 45,1) di poter rimanere solo insieme agli altri figli di Giacobbe, «proruppe in un grido di pianto» talmente forte che «gli egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone» (45,2).

Questa esplosione emotiva non è solo una preparazione al momento della riconciliazione, ma è anche il segno che la riconciliazione necessita di una lenta e faticosa maturazione, frutto del desiderio di avvicinarsi all’altro e di aver accettato il fatto che certe rotture possono ricomporsi e certe ferite possono rimarginarsi solo nella gratuità.

Il perdono non è mai qualcosa che possiamo imporre a noi stessi: è frutto che cresce lentamente fino a diventare un modo nuovo di interpretare le vicende della nostra storia e le sofferenze vissute.

Poiché la Scrittura dice che Dio premia i buoni e punisce i malvagi, Giuseppe avrebbe potuto dire ai suoi fratelli: Dio mi ha salvato e ora mette voi nella tribolazione, facendovi portare il peso del peccato commesso.

Giuseppe, però, rileggendo con realismo e fede il suo allontanamento dalla casa del padre per causa dei fratelli, che lo hanno venduto per sbarazzarsi di lui, scorge l’azione positiva di Dio: «non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gen 45,5).

La storia di Giuseppe, oltre a evidenziare la sua grande fede, ci dice che per essere veri credenti e annunciatori del Vangelo è necessario imparare a scorgere la misteriosa azione di Dio nelle pieghe e nelle piaghe della storia, della propria vita e della propria vocazione. E ci dice pure che siamo chiamati a donare quell’amore gratuito e senza misura che abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere dal Signore e dalla relazione con lui.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Più che un invito alla generosità, queste parole rappresentano il test di verifica per come si vive il nostro essere credenti e su come si assume la gioia e la fatica dell’annuncio.

Solo una testimonianza vissuta nella gratitudine, come “restituzione” di quanto ricevuto, è la garanzia che non scivoleremo mai verso le derive della propaganda o del facile proselitismo, costruito su frasi fatte senza coinvolgimento e passione.

L’annuncio del Regno ha sempre una dimensione pubblica e solenne, ma non è soltanto un messaggio da ripetere o gesti d’amore da compiere e neppure ascoltare, consigliare e pregare per l’altro. È certamente ciascuna di queste cose e tutte insieme, ma solo se sappiamo metterci in gioco nelle relazioni, facendo spazio all’altro dentro di noi.

Si annuncia non solo facendo arrivare all’altro la Parola o un gesto d’amore, ma facendo entrare l’altro nella nostra vita, con le sue gioie e le sue sofferenze, rinunciando alle nostre aspettative su di lui e anche alle nostre difese. Si annuncia rischiando, coinvolgendoci nella vita dell’altro. Il resto viene da sé.

Ogni autentico incontro comporta la rinuncia a delle certezze e a delle abitudini: è nella relazione vera che Dio opera, si lascia incontrare e fa sperimentare il suo amore.

Anche le raccomandazioni che Gesù fa a coloro che invia non sono altro che l’invito a essere estremamente sinceri, quando ci si pone davanti all’altro per annunciare che la ricchezza di Dio può colmare tutto lo spazio della nostra povertà: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,10).

Riscoprendo la verità e la profondità della relazione con Cristo e con gli altri, nella dimensione della gratuità, potremo ritrovare il sapore del nostro essere cristiani e la significatività trasformante di Cristo e del suo vangelo.

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