Omelia Badia Fiorentina 27 settembre 2023

Mercoledì della XXV settimana tempo ordinario – anno dispari – San Vincenzo De’ Paoli: Esd 9,5-9   Tob 13   Lc 9,1-6

Il sacerdote Esdra, tornato da poco a Gerusalemme dall’esilio babilonese, viene a conoscenza dell’infedeltà di tanti israeliti alle leggi del Dio dei Padri.

Profondamente amareggiato si affida al Signore con sentimenti in cui si mescolano l’angoscia e la gratitudine. Riconosce il peccato, l’unità del popolo di Dio e la comune responsabilità: «le nostre iniquità si sono moltiplicate fin sopra la nostra testa; la nostra colpa è grande fino al cielo» (Esd 9,6).

Esdra è anche capace di guardare oltre la fragilità e la vulnerabilità. Non si ferma sulla colpa, resiste alla tentazione della disperazione, del ripiegamento che uccide la speranza.

Nella sua preghiera risuona solenne un «Ma», che fa la differenza e permette di guardare sé stessi e di considerare gli eventi in modo diverso.

Dopo aver riconosciuto con vera umiltà la colpa, Esdra riconosce anche che il peccato non è mai l’ultima parola nella vita del credente e che c’è sempre una nuova possibilità: «Ma ora, per un po’ di tempo, il Signore, nostro Dio ci fa fatto una grazia» (Esd 9,8a).

Come ha fatto Esdra, anche noi – persone e comunità – siamo chiamati ogni giorno a fare verità nella e sulla nostra vita: non dobbiamo chiudere gli occhi sulle nostre reali infedeltà, ma dobbiamo anche spalancare il nostro cuore alla speranza, alla «grazia».

Proprio il riconoscimento della grazia, sempre operante nella nostra esistenza e in quella dei fratelli e delle sorelle in cammino come noi, diventa un «asilo» in cui e da cui possiamo aspettarci nuove sorprese, come quella a cui fa riferimento Esdra «il nostro Dio non ci ha abbandonati: ci ha resi graditi ai re di Persia» (9,9).

Alla luce della preghiera di Esdra, possiamo dire che la missione affidata da Gesù ai suoi apostoli è una missione di “grazia”, di “sollievo”, di “asilo”.

Il mandato apostolico è quello di testimoniare quel «Ma» con cui le situazioni più dolorose possono essere trasformate in occasione di grazia, o almeno aprirsi a un percorso di guarigione possibile: «diede loro forza e potenza su tutti i demoni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,1-2).

La convocazione e la missione dei Dodici non possono essere disgiunte dallo stile di grazia e di sollievo vissuto dallo stesso Gesù negli incontri con le persone incrociate sul suo cammino.

È il cammino che segna e caratterizza l’evangelizzazione, quella di Gesù, quella degli apostoli da lui inviati e quella dei discepoli di tutti i tempi.

Gesù manda i suoi di villaggio in villaggio, di casa in casa, ovunque, senza un luogo dove concludere la loro missione: solo case dove rimanere e da cui poi ripartire, muovendosi senza pesi inutili.

Quando i Dodici vengono inviati, sono in cammino con Gesù: Gesù sta già evangelizzando di villaggio in villaggio e prosegue senza sosta il suo cammino verso Gerusalemme.

L’annuncio continua nel corso dei secoli, di generazione in generazione, raggiungendo e coinvolgendo persone e popoli.

Come al tempo della chiesa primitiva, in ogni periodo storico spiccano delle figure particolari, che nel proprio campo di apostolato sono diventate dei riferimenti per la missione evangelica, caritativa, sociale, mistica, educativa, missionaria, della Chiesa.

Fra questi c’è anche la figura di San Vincenzo De Paul, in italiano De’ Paoli, di cui oggi facciamo memoria.

San Vincenzo, dopo aver attraversato varie peripezie, esperienze controverse ed essere divenuto prete, maturò un vero spirito apostolico.

A Parigi si dedicò alla cura dei poveri e fondò la Congregazione della Missione. Con la collaborazione di santa Luisa de Marillac, fondò anche la Congregazione delle Figlie della Carità, per provvedere al ripristino dello stile di vita della Chiesa delle origini, per formare santamente il clero e per assistere i poveri.

Le azioni e le fondazioni di san Vincenzo non sono frutto di piani prestabiliti, ma nascono da necessità contingenti, in un clima di perfetta aderenza alla realtà.

In una realtà di fragilità, deviazioni, peccati, possiamo dire che San Vincenzo ha rappresentato quel “Ma” pronunciato da Esdra, incarnando la missione di “grazia”, di “sollievo”, di “asilo” affidata da Gesù ai suoi discepoli e che anche noi siamo chiamati a incarnare nel nostro oggi.

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