Schema Omelia domenica 1° ottobre 2023

XXVI domenica tempo ordinario anno A: Ez 18,25-28   Sal 24   Fil 2,1-11   Mt 21,28-32

Il Vangelo ci guida, ci educa, a leggere la vita superando giorno dopo giorno preconcetti e dogmatismi, nei quali spesso ci rifugiamo pensando di difendersi dalla durezza della realtà.

Non si può pensare, come persone e come comunità cristiana, di vivere “isolati” dalla contemporaneità per proteggerci dal rischio di contaminazione.

I cristiani, e la stessa Chiesa, non possono certo perdere la propria specificità, ma questo non significa vivere separati, chiudersi nei propri ambienti, nei propri riferimenti e col proprio linguaggio.

Immischiarsi nelle vicende umane è doveroso. È però essenziale non lasciarsi assorbire o soffocare dalle logiche del mondo, camminando dietro e con Gesù, per imparare a sentire e pensare come lui, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6),

La vita è un cammino. La velocità e la direzione sono anche nelle nostre mani e affidate alle nostre decisioni. Come suggerisce il profeta Ezechiele, nella prima lettura, richiamando la responsabilità etico-religiosa di ciascuno davanti a Dio, ogni persona con le proprie scelte decide il modo con cui sta nel mondo e il proprio destino.

Acquisire gradualmente «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5), come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, ci aiuta a superare i ragionamenti tutti umani e ci rende capaci di vivere con maturità la relazione con Dio e con gli altri.

Il vero discepolo non si limita alla professione verbale della fede, a un generico “sì” formale, o anche entusiasta, ma si mette concretamente in gioco.

La parabola di oggi, come ogni pagina evangelica, ci invita a vigilare sull’ambiguità dell’esperienza umana, che coinvolge tutti ma che interpella innanzitutto coloro che si professano cristiani.

Chi ha ricevuto il dono della fede deve aver sempre presente la grazia che gli è stata fatta e, contemporaneamente, ricordare che è sempre in agguato la presunzione di ritenersi superiori agli altri, di credersi giusti.

Gesù sta parlando ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, che, per nascita e per ruolo, sono davanti agli altri, hanno un potere e un’autorità, e conservano dentro di loro la sicurezza che tutto questo li porterà ad arrivare al traguardo, senza inciampi e per primi. È a loro che racconta la parabola che abbiamo ascoltato

Basta conoscere un poco le pagine della Bibbia per capire che la vigna di cui parla la parabola che ci è stata proposta è la piantagione amata da Dio e che il padre affida ai figli la cura di qualcosa che gli è prezioso. Nessuno dei due, però, vuole andare a lavorare nella vigna.

Il primo fratello dice un no secco: «Non ne ho voglia» (Mt 21,29). Poi ci riflette, si pente della risposta, e alla fine compie la volontà del padre andando a lavorare nella vigna.

Il secondo fratello risponde positivamente, ma con parole che sembrano marcare una certa distanza: «Sì, signore» (Mt 21,30). Però, nella vigna non ci va, anche se non sappiamo se per svogliatezza o sedotto da una proposta allettante o altro.

Gesù utilizza la metafora della relazione padre-figlio per descrivere le diverse modalità della relazione tra Dio e il popolo e le risposte possibili alla chiamata di Dio. Gli atteggiamenti simmetricamente opposti dei due fratelli contengono tutta una serie di sfumature possibili, che possiamo ritrovare dentro di noi.

Se il fare risulta certamente più decisivo del dire, non è tuttavia esente da possibili ambiguità, nelle motivazioni e nelle modalità.

La vita cristiana non è costruirsi una bolla di irreprensibilità, ma un cammino di donne e di uomini che sbagliano, che sanno ripensarci e riconoscere il proprio errore. Non donne e uomini impeccabili, ma figli che ce la mettono tutta, che continuamente ci riprovano certi dell’amore del Padre.

La conclusione della parabola contiene l’affermazione più provocatoria nei confronti di coloro che si credono giusti, ritenendo corretto il loro pensare e il loro agire: di Gesù: «i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). Alla lettera sarebbe: stanno passandovi avanti.

Si tratta di una constatazione: i peccatori che non hanno alcun paravento religioso dietro il quale nascondersi, coloro che non possono fingere perché la loro condizione è palese, possono ripensarci, pentirsi, credere e cambiare accogliendo il dono di Dio.

Chi, invece, si sente sicuro e protetto dalle pratiche religiose che adempie fedelmente, non si rende nemmeno conto di essere interiormente lontananza dalla vigna del Signore.

Ogni situazione è una chiamata. Tutto sta nel nostro sguardo su Dio, nell’immagine che abbiamo di lui, e, conseguentemente, sull’immagine che abbiamo di noi stessi e sulla nostra disponibilità a cambiare. A cambiare continuamente.

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